Un maestro di vita
Franco è stato per tutti noi – intere generazioni – un maestro infaticabile e tenace. Uno che testimoniava con la sue scelte e i suoi impegni, giorno dopo giorno, i valori che spesso vengono proclamati, ma non vissuti. Infatti, ha operato nel sindacato e nella politica anteponendo alla pur legittima ambizione personale il senso del dovere e della responsabilità. La sua è stata una fede civile, radicata nella storia del cattolicesimo popolare e sempre protesa al futuro.
Questa coerenza, con la quale ha attraversato le varie stagioni del suo impegno pubblico, si lasciva cogliere nei gesti quotidiani. Credo che i giovani vedessero in lui un esempio da seguire perché quel che pensava era quel che diceva, e viceversa. L’autenticità segnava il suo modo di comportarsi e di agire, ne faceva il leader a cui ci si poteva affidare. Difficile spezzare l’unicum della sua militanza, non essendo percepibile una differenza sostanziale tra il suo essere sindacalista, prima, e il suo essere dirigente di partito, dopo. Franco aveva chiaro in mente che non c’è giustizia sociale senza libertà, né senza queste può esserci vero progresso.
Apertura al futuro
Non aveva paura del nuovo: lo affrontava come una sfida, con la sicurezza che viene dalla conoscenza del passato. Per lui la storia non era mai nostalgia del passato: era radice, bussola, orizzonte.
La politica, per Franco, valeva solo se custodiva i valori che tengono insieme una comunità. Mi piace ricordare che amava la storia, trovando in essa gli elementi per capire il presente e intravedere il futuro. Aveva intuizione e visione, doti che ne rafforzavano l’immagine di combattente. Nel mezzo operava il legame tra parole e fatti, affinché le parole – perlopiù asciutte nel lessico mariniano – non si traducessero in chiacchiere vuote.
Umanità e responsabilità
Uomo di organizzazione? Sì, e se ne faceva vanto. Tuttavia, per lui, anche l’organizzazione aveva un’anima. Conosceva territori, ambienti, persone come altri neppure immaginavano. Non era vuoto attivismo, il suo, poiché i numeri e gli schemi non cancellavano il rapporto umano a cui prestava, come è noto, un’attenzione nascosta, quasi pudica, ma non banale.
Aveva uno sguardo capace di andare oltre la superficie della politica spettacolo. D’altronde nella vita, per lui, c’erano sempre delle responsabilità da assumere: verso il lavoro, verso le comunità, verso il Paese.
Il senso delle alleanze
Ha combattuto tante battaglie, ha speso tante energie. A volte le sue scelte potevano non piacere, ma erano dettate quasi sempre dalla preoccupazione di trovare un punto di equilibrio oltre la linea rossa della contesa. Cercava soluzioni che tenessero insieme le persone e garantissero la tenuta di un “mondo”, quale si prospettava in una determinata fase o circostanza. Per questo credeva nelle alleanze, sebbene avesse a cuore, nel fare accordi o mediare, che non ci fossero forzature. Non si capisce Marini se non si coglie, nel ricordo che ne tracciamo, questa sensibilità che accompagnava la sua maniera di concepire la lotta politica.
Come sappiamo, è stato protagonista nella Democrazia cristiana, nel Partito popolare e nel Partito democratico, trovando in queste differenti stagioni politiche una sostanziale linea di continuità nel mantenere salda la radice del popolarismo. Se qualcosa davvero lo infastidiva, era il tentativo di sminuire il pluralismo. Il partito doveva essere la “casa comune”, il luogo di riconoscimento tra tutti, la dimensione dello stare insieme alla pari. Una volta usò la metafora della chiave che qualcuno pensava di sequestrare, impedendo agli altri – in questo caso ai “suoi” popolari – di aprire la porta ed entrare. Fu molto severo, effettivamente, in quella rivendicazione di eguaglianza di fronte al pericolo di una distorsione inaccettabile, figlia di chiusura integralistica. Tutti dovevano sentirsi volta a volta progettisti, architetti, operai e muratori; tutti dovevano condividere ruoli e funzioni destinati a intrecciarsi; tutti dovevano concorrere insomma alla buona tenuta della “casa comune”.
La cultura delle istituzioni
È importante osservare come sia stato altrettanto capace, alla stregua delle esperienze passate nel sindacato e nella vita di partito, di calarsi nei panni dell’uomo delle istituzioni. Fu un autorevole Presidente del Senato, stimato anche dalle opposizioni per la fermezza e la misura della sua attività di “moderatore” dell’Aula. Anche per queste sue doti, e per la considerazione di cui godeva, che ricevette l’incarico esplorativo per formare il governo. Non riuscì nell’impresa, malgrado la piena copertura del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Tuttavia, fallito il tentativo, si tenne alla lontana da inutili espressioni di rammarico. Aveva il senso delle istituzioni. E questo stile si manifestò ancor più quando la sua candidatura alla Presidenza della Repubblica non resse all’urto dei franchi tiratori, complice una debole e incauta regia politica. Non lasciò trapelare, nemmeno a distanza di anni, quel tanto di delusione che umanamente poteva gravare sui suoi giudizi a riguardo di una vicenda così amara.
Per lui le istituzioni non erano un’occasione da usare, ma una realtà da servire.
Un democratico vero, fino in fondo
Franco ha fatto un percorso fondamentale nell’interesse dei lavoratori e del Paese. Ha creduto nella politica come scelta di cuore e sacrificio, senza lasciare mai in ombra la ricerca del bene comune.
Era un democratico vero. Amava la democrazia: quella che è di tutti, che garantisce la libertà di ciascuno e dà valore al nostro stare insieme. A noi ripeteva, all’indomani delle elezioni, che l’analisi del voto doveva tener conto dei valori assoluti, per capire oltre le percentuali quanto pesasse l’astensionismo e in generale l’area del dissenso, computando anche schede bianche e nulle. Presagiva, in buona sostanza, che la democrazia stava già lottando con la protesta silenziosa di tanti elettori disillusi o smarriti. Di questo dovremmo fare memoria, perché la “lezione mariniana” suona come un monito di fronte alla gravità del fenomeno astensionista dei nostri giorni. Marini alzerebbe la voce per denunciare e combattere il degrado di una democrazia ridotta a scontro di tifoserie, con il distacco conseguente di milioni di elettori.
Che dire inconclusione? Franco era un uomo del popolo, un sindacalista coraggioso e leale, un politico vero, un uomo delle istituzioni, sempre autentico. Grazie Franco, per ciò che hai dato al nostro Paese. E per ciò che continui a insegnarci, ancora oggi.
N.B. Il testo qui raccolto corrisponde alla stesura originaria del discorso che, per esigenze di tempo, l’oratore ha inteso sintetizzzare davanti al pubblico presente alla cerimonia.

