Articolo già pubblicato sulle pagine di /www.c3dem.it
Purtroppo, per un’influenza trascurata che rischiava di trasformarsi in polmonite, sabato non potrò essere a Roma alla manifestazione unitaria di Cgil Cisl e Uil.
Oggi, rileggendo il volantone della manifestazione mi sono tornati alla mente i miei primi mesi in Via Po, nella sede nazionale della Cisl, nell’estate del 2007.
Venivo dall’esperienza del Cesos, dalla ricerca, pur nel campo economico e sociale, venni catapultato subito nella “politica sindacale”, proprio nei giorni caldi dell’accordo con il Governo Prodi attraverso il c.d. “procollo welfare” del 23 luglio (data scelta non a caso…) .
Non tutti lo ricordano, ma quell’accordo fu sottoposto a “consultazione certificata” da Cgil, Cisl e Uil tra milioni di iscritti e lavoratori nelle aziende e nelle sedi sindacali. All’epoca l’unica grande organizzazione ad opporsi al protocollo fu la Fiom di Gianni Rinaldini che di lì a non molto avrebbe ceduto lo scettro di segretario generale a Maurizio Landini. Questo per dire che fu una consultazione non formale. I temi del protocollo del 2007 erano diversi, alcuni contribuii a sintetizzarli in un fondo in prima pagina per il quotidiano Europa intitolato: “Il nostro 23 luglio per i giovani”, concentrandomi soprattutto sulle facilitazioni della totalizzazione dei contributi per il lavoro non standard. Tornando all’oggi, ho pensato ad una domanda che mi ha fatto un amico, non ostile, ma nemmeno entusiasta verso la Cisl e il sindacato: Perché, per te, sabato è importante scendere in piazza?
Se dovessi sintetizzare, io credo che il tema principale sia: “per ridare dignità al lavoro”.
Combattere i tagli su salute e sicurezza, impegnarsi (al netto delle stortura che anche in questi giorni ci ha regalato una distratta Commissione Europea) per la tutela negli appalti e nei subappalti, per un impegno sociale e istituzionale contro il lavoro nero e lo sfruttamento, perché il lavoro sia strumento di integrazione sociale a 360° gradi. Certo, è un lavoro che cambia, velocissimamente. Pone nuove domande e necessita di nuove, non facili, risposte. Non di populismo, nemmeno sindacale e nemmeno di individualismo tardo-reaganiano.
Il lavoro necessita di investimenti e di visione, a partire, forse, non solo dalla mistica delle grandi opere, ma soprattutto da quell’immenso necessario piano di tutela del territorio e del patrimonio edilizio pubblico (scuole, ospedali, ponti) di cui ha tanto bisogno il nostro paese, a partire dalle già dimenticate periferie.
Ecco, io non ci credo proprio nella disintermediazione.
Certo, il sindacato deve cambiare e molto, dobbiamo cambiarlo.
Tanto tempo è passato da quell’estate del 2007, in cui ero entusiasta operatore alle prime armi del mercato del lavoro e della formazione in Cisl nazionale. Come tantissimi miei colleghi e amici ero e sono felice di poter dare un piccolissimo contributo. Nella Cisl, come nella cornice unitaria, che, nel 2007, di lì a non molto, purtroppo, si sarebbe perduta.
No, non credo in un sindacato unico.
Credo in un percorso e in un progetto unitario che parta dal basso, dal lavoro che si crea e che cerca nuove tutele e nuovi spazi di associazione, da un sindacato che, trasparentemente, può rappresentare un “super navigator”, nell’accompagnare e supportare le transizioni lavorative.
Credo in un sindacato che sappia affrontare la grande questione delle professionalità nel mondo produttivo in trasformazione e farsi ponte per l’ingresso tutelato e consapevole dei giovani nel lavoro.
Credo anche, a partire dai temi del lavoro e del modello sociale europeo, in un sindacato che sappia dare il proprio contributo urgente a cambiare nettamente questa Unione Europea, rafforzandone la missione oltre le false illusioni nazionaliste così forti anche tra i propri iscritti, non solo in Italia.
Per questo, per le persone e per il lavoro, occorre sabato essere in piazza. Incontrarsi in piazza. In un arcobaleno inclusivo di colori che sappia non solo chiedere, ma dare futuro al lavoro. Pronunciando parole chiare e nette, quando serve.
Se dovessi rispolverare uno slogan userei quello del congresso Cisl del 1969 (molto dibattuto all’epoca anche nell’organizzazione) di un “potere contro potere”. Che significa semplicemente che il sindacato confederale, unito, non ha paura, nel confronto con una politica, non da ora smarrita, di contribuire a delineare, a partire dal lavoro e dalla contrattazione, una società più equa e più giusta.
A partire da chi sta sotto, non da chi sta sopra. Come, tra gli altri, ci ha insegnato don Lorenzo Milani.
Buon viaggio a tutte e a tutti verso Roma (anche per me), per una Piazza San Giovanni unita, gremita e rivolta al futuro!
Francesco Lauria