Scrivere un libro su Gaza di questi tempi potrebbe evocare la metafora del lanciare un sasso nello stagno. Il conflitto israelo-palestinese, originato dall’attacco terroristico di Hamas “Operazione Diluvio al-Aqṣā” del 7 ottobre 2023 (nel giorno del cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973), con l’uccisione di 1200 tra civili e militari israeliani e il sequestro di altri 250 tenuti in ostaggio per oltre due anni (restituiti in parte vivi o morti), si è risolto in una tragedia umanitaria, con l’uccisione di 65 mila vittime e il ferimento di altre 166 mila persone. In mondovisione è stato rappresentato uno scenario raccapricciante, città, case, villaggi rasi al suolo, una belligeranza estesa a gran parte del Medioriente, il massacro della popolazione inerme, le tendopoli, gli accampamenti, la fame, le malattie, le mutilazioni – con un numero spropositato di bambini uccisi, almeno 16 mila – stimato come la guerra più sanguinosa del XXI secolo. Il pogrom di Hamas ha spaccato il mondo politico, suscitando deprecazione non solo come aspetto dell’estremismo terroristico e del fondamentalismo religioso mentre molti osservatori hanno duramente biasimato la reazione di Israele che pure è stata sostenuta dagli USA e da larga parte del mondo occidentale. Anche in Italia le manifestazioni di piazza pro-Pal hanno raggiunto un parossismo distruttivo che è arrivato a evocare l’odio razziale contro gli ebrei, un rigurgito da condannare senza riserve. Trovo per chiudere questa breve introduzione che di tutte le parole usate per aprire ad una trattativa di dialogo, preludio della tregua che si va concretizzando il termine “proporzionalità” sarebbe stato il viatico diplomatico per scongiurare il dramma della strage che c’è stata.
Il saggio: un capolavoro di realtà e documentazione
Ma il libro di Arturo Marzano “Storia di Gaza. Terra, politica, conflitti” edito da Il Mulino in uscita in questi giorni non appartiene al genere speculativo di una narrazione che trae alimento dalla sanguinosa recrudescenza di un rapporto conflittuale tra Palestina ed Israele che dura da oltre un secolo e mezzo, per polarizzare accuse o suscitare consensi. Il saggio di Marzano è un capolavoro di realtà, descrizione minuziosa, ricerca storica, retroscena politici, culturali, etnici, religiosi, economici, sempre argomentato in modo oggettivo, scaltrito e aderente a tutti i tipi di ragioni sostenibili utili a inquadrare il progressivo materializzarsi di una diaspora, analiticamente e minuziosamente raccontata quasi giorno per giorno, anno per anno fino all’esplosione di un conflitto profondissimo rimasto latente e sottotraccia in ogni fase della sua quotidiana narrazione, fatto di dettagli e aspetti a lungo taciuti, nascosti o semplicemente rinviati. L’autore usa tutti i parametri di valutazione del contesto a poco a poco divenuto “questione israelo-palestinese”, scavando nei meandri più reconditi o palesi di una deriva di polarizzazione che ha avuto una sola traccia espansiva: la radicalizzazione estrema, lo scontro frontale a un passo dal cupio dissolvi della distruzione.

Radici storiche e fratture politiche
In un lembo di terra fertile un tempo baciata dal mare e inondata dal sole, dove le attività umane più antiche come la pesca, l’artigianato, il commercio erano fiorenti e gestite in un contesto di sostenibilità d’insieme, grandi macigni (le religioni, le etnie, le ideologie, le economie, le lingue, gli idiomi…) si sono materializzati scontrandosi fra loro. La storia di Gaza ha radici remote che Marzano descrive e spiega con dovizia di dettagli: il sottotitolo del libro – “terra, politica, conflitti” è la traccia di questa narrazione. Aggiungerei “popolo e lotte di autodeterminazione e di governo”, perché sono le due ragioni di chi oggi sostiene la teoria ‘due nazioni, due stati’. Dall’Impero Ottomano al mandato britannico, dalla guerra del 1948 all’arrivo nella striscia di 200 mila profughi palestinesi, alla presenza egiziana tra fratellanza musulmana e fedayn e alla sua seconda fase fino all’occupazione israeliana, dallo scoppio della ribellione dell’Intifada fino alla nascita di Hamas e agli accordi di Oslo, alle elezioni del 2006 e al colpo di stato del 2007, alla spaccatura del mondo palestinese, tra Hamastan e Fatahland – le due Palestine rivali tra corruzione e sperpero da una parte e semina di odio e integralismo dall’altra – alla guerra finale tra Hamas e Israele.
La lezione che resta
La storia di Gaza è stata sempre caratterizzata da colonizzazioni e conflitti: per questo il libro serve a chi voglia approfondirla per comprenderla, una descrizione ancorata ai fatti, denotativa, senza distorsioni interpretative, scevra da pregiudiziali ideologiche. Rileggo un articolo di Giulio Andreotti sul numero 11/1999 della rivista ‘30 giorni’ da lui diretta e vi ritrovo intatti i motivi che hanno fatto esplodere l’ultimo conflitto: “Questo è lo status quaestionis per quel che attiene al rapporto Israele-Palestina, mentre restano insoluti i problemi con la Siria e con il Libano; oltre la già sottolineata delicatissima questione di Gerusalemme”, e ricordo ciò che mi illustrò brevemente circa le sue interlocuzioni nel merito con Yasser Arafat.
Persone, non sagome ideologiche
Per queste ragioni il saggio di Marzano esprime meglio di chiunque lo abbia fatto finora in una qualunque trasmissione televisiva – dove solitamente vengono ospitati opinionisti che ripetono il sentito dire ma teorizzano su fatti e misfatti che non conoscono (accade anche per l’Ucraina) – una narrazione meramente descrittiva di una realtà storica. “Nonostante la situazione molto complicata degli ultimi anni, prima del 7 ottobre, Gaza è stata anche ‘normalità’. Una terra abitata da persone che andavano a scuola, studiavano, lavoravano, si impegnavano, progettavano, sognavano, come in qualsiasi altro posto del mondo”.
Siamo polvere di stelle
“I cittadini di Gaza non sono semplicemente martiri o vittime (o terroristi e fanatici, a seconda della prospettiva) ma anche persone comuni con preoccupazioni comuni”. (Ilana Feldman – Governare Gaza: Burocrazia, autorità e lavoro di governo, 1917-1967 – Duke University Press – 2008, pag. 28)”. Pur essendo tutti figli di Dio, non riconoscerne uno condivisibile rende le religioni motori di conflitti piuttosto che attori di pace. Siamo come polvere di stelle che cade dal cielo e il luogo dove si deposita ne prelude il destino.

