Gerard Lutte ha illuminato con la speranza la miseria di un mondo invisibile

Scomparso a Roma il 10 luglio all’età di 94 anni, il salesiano belga ha operato per molti anni tra i baraccati della Città Eterna. È stato un “prete di strada”, come piace dire a Papa Francesco.

Quella di Gerard Lutte è una lunga storia che racchiude una preziosa lezione di vita. Nato in Belgio nel 1929, viene ordinato prete quando compie 28 anni. Era entrato a far parte della comunità dei Salesiani, la Congregazione fondata da Don Bosco per prendersi cura dei giovani, specialmente i più poveri. Ma da questa venne espulso, proprio quando scelse di schierarsi dalla parte degli ultimi. Dopo aver completato gli studi, nel frattempo, gli venne assegnata la cattedra di Psicologia, presso il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma, nel quartiere Nuovo Salario. Proprio qui, a poca distanza dall’Università scopre la borgata di Prato Rotondo, oggi nei pressi del vialone dei Prati Fiscali.

 

È il 1966, l’anno in cui iniziano in vari paesi le manifestazioni studentesche contro la guerra americana in Vietnam e si teme il dilagare del conflitto. In Italia, scoppia il caso “don Lorenzo Milani”, perché il parroco di Barbiana si era permesso di difendere l’obiezione di coscienza. Il mondo cattolico è in fermento, dentro quelle file si muove un altro protagonista di un certo “dissenso”: si tratta di un altro prete, don Enzo Mazzi che esercita la sua azione pastorale all’Isolotto di Firenze. Nel novembre di quello stesso anno proprio la città simbolo del Rinascimento è colpita da una terribile alluvione. È un anno drammatico anche per l’affacciarsi delle prime avvisaglie del ’68: in uno scontro dentro la città universitaria romana, infatti, perde la vita il giovane studente Paolo Rossi, vittima di un’aggressione squadrista. Lo scenario politico è caratterizzato dalla fase cruciale del primo governo di centro-sinistra e Roma, che per quasi un trentennio (1947-1976) sarà guidata dall’alternarsi di sindaci democristiani, continua a svilupparsi sotto la spinta di una grande crescita demografica, favorita anche da un crescente fenomeno migratorio. In questa prospettiva, la domanda di alloggi rimaneva elevatissima, di conseguenza – soprattutto nelle periferie in costruzione – ci si poteva imbattere con la diffusione di forme di residenza spontanee, abusive e precarie: una città dal doppio volto e una complessa storia dell’urbanistica (Insolera, Roma moderna, ed. 1976).

 

Tornando al nostro personaggio: dunque don Lutte, prete di strada e di frontiera, si trasferisce tra i “baraccati” di Prato Rotondo, una fascia di terreno impervio che si presentava come un accampamento di casupole di fortuna, tirate su a ridosso dei nuovi quartieri che nascevano, «coniugando pittoresco e povertà estrema» (Vidotto, Roma Contemporanea, ed. 2006). Tutti questi nuclei erano privi dei servizi minimi essenziali, dall’illuminazione alle fognature (Archivio Luce). Condivide le loro istanze cercando di ridare a queste famiglie almeno il senso della dignità. Seguendo il suo magistero, Prato Rotondo diventa la sua Chiesa e si unisce alle lotte per la giustizia e per la casa di quelle persone. Resta alla guida di quella “guerra fra poveri”, sempre accanto agli ultimi e alle persone invisibili (Lutte, Giovani invisibili, 1981), anche quando il campo di battaglia si sposterà alla Magliana, il quartiere scelto per “traslocare” gli abitanti di Prato Rotondo. Nell’arcipelago di iniziative e di lotte sociali vede operare anche altri suoi compagni di viaggio: tra questi occorre ricordare l’esempio di due “cattolici marginali” come don Roberto Sardelli all’Acquedotto Felice e Giovanni Franzoni, abate della basilica di San Paolo fuori le mura, prima di essere allontanato.

 

I temi dell’emarginazione, della crisi abitativa e del disagio sociale conquistarono l’attenzione sia degli studi sociologici sia lo sguardo del cinema. Un film già dal titolo tanto evocativo “Il tetto” (1956), diretto da Vittorio De Sica, documenta in maniera emblematica e in perfetto stile neorealista la drammatica condizione abitativa e il fenomeno dei “baraccati” a Roma. È la rappresentazione di quel mondo popolare verso il quale Vittorio De Seta, uno dei precursori del cinema documentario, ha «sempre avuto l’idea di un debito» (www.fatamorganaweb.it/tra-mare-e-terra/). Venti anni dopo è il turno di un altro capolavoro: si tratta di “Brutti, sporchi e cattivi”, un film diretto da Ettore Scola con un’interpretazione magistrale di Nino Manfredi che descrive impietosamente le miserie materiali e morali che si vivono nelle baraccopoli della periferia romana dei primi anni settanta. Focalizzando l’attenzione sulla condizione delle periferie e delle borgate romane, Franco Ferrarotti pubblica nel 1970 Roma da capitale a periferia, un testo fondamentale che inquadra molto bene anche lo stato urbano, sociale e politico della città.

 

«Il terzo mondo era dunque anche a Roma. E anche nelle periferie della capitale era possibile dare un senso alla propria missione» (Vidotto, 2006). In queste aree escluse dai benefici della società contemporanea, si trovava a svolgere la sua missione don Gerard Lutte, che alla Magliana diede vita alla al Centro di cultura proletaria. Negli anni che seguirono si trasferì prima in Nicaragua e poi in Guatemala, compagno di viaggio dei giovani di strada (Mojoca). Intanto era anche diventato professore ordinario di psicologia dell’età evolutiva dell’Università “La Sapienza” di Roma.

 

Questo e molto altro è stato Gerard Lutte, morto a Roma il 10 luglio, a 94 anni: un autentico protagonista della Storia. Il suo principio psicopedagogico è l’amicizia liberatrice. «Ritrovare nel campo degli sfruttatori e degli speculatori, cristiani, sacerdoti, organismi religiosi ed ecclesiastici mi ha permesso di distinguere fra burocrazia ecclesiastica e Chiesa, tra Vangelo e religione alienata, fra oppio del popolo e messaggio di liberazione, fra chiesa dei poveri e sinagoga dei farisei», scrive Lutte (“il manifesto”, 13 luglio 2023). “Il paradiso non ha confini”, specialmente per uno spirito tanto indomito, che ha speso tutta la sua esistenza per gli oppressi, fino alla fine quando si è spento tra loro.

 

Per la scomparsa del suo amico Roberto Sardelli, avvenuta nel 2019, scrisse un pensiero tanto emozionante: «Avevo conosciuto Roberto alla fine degli anni ’60. Tutti e due lavoravamo con giovani in borgate di barricati di Roma, organizzando una scuola alternativa per i ragazzi e le ragazze della borgata e affrontando gli altri problemi degli abitanti. Spesso le nostre strade si sono incrociate. Roberto era un uomo integro e coerente e tutta la sua vita fu a servizio dei poveri, si dichiarava discepolo di don Milani e riproduceva nella sua Scuola 725 i metodi della Scuola di Barbiana. Roberto non dimenticheremo il tuo esempio e con emozione ti diciamo “arrivederci e grazie fratello di strada”».

 

Oggi, con la stessa partecipazione, possiamo dire che non dimenticheremo neanche Gerard Lutte, un uomo che ha avuto la forza di illuminare con la speranza la miseria di un mondo invisibile.