Ci sono dei momenti nella vita in cui i sentimenti , che giacciono sopiti nel cuore degli uomini, sempre afflitti da preoccupazioni, ansie e pensieri che appaiono giganteschi e irrisolvibili, escono improvvisamente allo scoperto e dilagano, lasciando spazio a gesti di bontà, a slanci generosi e sorprendenti in una società malata di egoismo, aggrappata ai problemi di sussistenza o alla spocchia e alla noia dei ricchi, invidiosa e cattiva, rancorosa e afflitta da mille insopprimibili paure.

Basta che giri una notizia che scuote le coscienze: non le solite alle quali siamo abituati, le fake news che ci rinchiudono nel fortilizio dell’indifferenza, non le manfrine nauseanti della politica e neppure quelle che ci rendono estranei persino alla morte o ci rintanano nelle nicchie tristi ma rassicuranti della solitudine.

Improvvisamente anche le tecnologie, gli smartphone o i tablet dove ogni giorno affondiamo per inebetirci di messaggi vuoti, che ci costringono a parlare del nulla o che usiamo per offendere e farci del male, insultare, provare l’ebbrezza dell’esplorazione dell’ignoto, o ci illudono di diventare influencer famosi e belli come i nostri miti effimeri che compulsivamente clicchiamo per carpirne i segreti, si mettono al servizio del bene, ci aiutano a commuoverci e a scoprire che nel nostro animo, laico o spirituale che sia, esiste uno spazio poco frequentato che apre a scenari esistenziali mai pensati.

Basta che si sappia che un bimbo di neanche 4 mesi , nato all’ospedale Sant’Anna di Torino e di lì mai uscito a causa di una grave malattia che si chiama Ittiosi Arlecchino, ma circondato dalle cure e dall’affetto dei sanitari che si occupano di lui, è stato abbandonato dai suoi genitori biologici che non se la sono sentita di affrontare le incognite di un futuro doloroso e forse breve, avvalendosi di una facoltà concessa da una previsione normativa che la collettività si è data, attraverso le procedure previste da una legge dello Stato.
Pare che la patologia che ha colpito Giovannino – questo è il nome del “piccolo cuor di leone” che combatte ignaro e inconsapevole la sua battaglia per la vita, che è fatta di istinto esistenziale, una molla che ti spinge ad andare avanti, giorno dopo giorno , verso un destino forse già scritto – sia una malattia rarissima che colpisce un neonato su un milione di altre creature come lui.

Chi lo vede e lo assiste descrive un piccolo omettino che gesticola, sgambetta, sorride, cerca lo sguardo di chi gli sta accanto, forse si accorge di essere al centro delle attenzioni di chi lo rassicura con la sua presenza.
Non sappiamo, non possiamo dirlo con certezza quanto vivrà questo bambino “venuto al mondo” per starci forse poco tempo, tanto è crudele il male che lo ha colpito: ma lui affronta ogni giorno la luce dell’alba e il buio della notte come tutti gli altri bambini del mondo con l’arma più forte e lontana dai mali a cui il mondo ci ha abituati: la sua innocenza.

Ed ecco che tutto improvvisamente si è messo in moto: una gara straordinaria di solidarietà che ha aperto molti cuori abituati alle durezze e alle ingiustizie della vita ad aprirsi alla generosità e alla speranza: quella di poter fare qualcosa per lui.
Il centralino dell’ospedale è intasato dalle telefonate, la gente si muove da sola o si aggrappa ad una domanda, cerca un ufficio, un giudice, il consenso di un’autorità che dia il permesso di prendere con se’ quella creatura, di averlo in affido, di adottarlo. Sono famiglie, coppie di fatto, single: questo ci fa capire quanto siano spesso pretestuose e stupide le polemiche che riguardano lo stato civile delle persone: dentro il petto di ogni essere umano batte un cuore più grande e potente della burocrazia e dei veti che mettiamo all’amore.

Questo slancio collettivo ci fa capire – come ha scritto nel titolo del suo libro Ferruccio De Bortoli- che “ci salveremo”: perché c’è ancora spazio per la gratuità del gesto – come la chiama Galimberti- per un’assunzione di responsabilità, una mano tesa verso chi ha bisogno, specialmente se si tratta di un piccolo bimbo poco più che neonato ma già segnato da una sorte maligna.

Giovannino cuor di leone è il più forte di tutti perché dal suo lettino di sopravvivenza e di speranze ha mosso un mondo di coscienze, ci ha fatto voltare lo sguardo verso di lui, facendoci scoprire che il bene esiste, anche se spesso facciamo finta di non saperlo, e ci spinge a sperare che esista anche un miracolo.