Alla ripresa della pubblicazione di questo giornale dopo la cacciata dei tedeschi da Roma, iniziavamo il nostro lavoro ricordando anzitutto in un articolo di fondo Giuseppe Donati, colui che per primo innalzò questa bandiera ed alta e incontaminata la mantenne preferendo la persecuzione, l’esilio e la morte ad ogni servile accomodamento con la trionfante tirannide.
Egli fu per eccellenza il lottatore, il cavaliere dell’ideale che non piega la schiena alle seduzioni del corrotto potentato, ma alta, schietta e indomita esprime la voce della coscienza morale.
La sua protesta contro il grande crimine non fu solo una protesta morale, ma un atto di coraggio che egli seppe compiere quando gli stessi avversari del regime macchiato di sangue si ritiravano paurosi di tanto ardire.
Non siamo certo noi gente incline a stimare il valore delle azioni umane dal loro successo reale. Il successo non misura la dignità e l’altezza morale del carattere; i falliti di oggi possono essere i trionfatori di domani, il loro sacrificio, il loro esempio è sempre un seme fecondo.
La sua salma riposa in un dimenticato cimitero di Parigi mentre oggi i suoi avversari o sono ignominiosamente travolti nella polvere o si annidano silenziosi in qualche comitato di epurazione. Ma anche queste conversioni non possono offendere la sua memoria, poiché nessuna più consonante rivincita poteva attendere il suo spirito tormentato.
Egli fu lottatore nel senso letterale della parola: la sua vita fu una battaglia dell’idea e dell’azione.
Nato a Faenza nel 1889, laureatosi a Firenze nel 1915 fu combattente e decorato della grande guerra avendo versato il suo sangue ad Oslavia ove nel 1916 rimase gravemente ferito. Dopo la vittoria, egli passa dalla trincea della guerra alla trincea politica: diviene organizzatore sindacale a Venezia e porta nelle lotte sociali quei principi della democrazia cristiana che erano stati l’anima della sua militante giovinezza.
La vicenda politica non gli impediva di coltivare i suoi prediletti studi di storia antica, di letteratura latina e di patristica, e l’Ateneo Veneto lo proclamò suo insegnante in riconoscimento dei suoi corsi e dei suoi studi di filosofia pre-dantesca che sono una fine analisi dell’influenza del pensiero medievale sulla Divina Commedia.
Ma il suo orizzonte politico presto si allarga: nel 1923 egli concepisce, organizza e pubblica il “Popolo“ organo del Partito popolare che avrà vita fino al 1925. Breve stagione per un giornale, ma stagione di lotta e stagione di esuberanti raccolti. La collezione del “Popolo“ è lì a testimoniare come Giuseppe Donati, riunito attorno a sé un manipolo di coraggiosi, abbia saputo dare a questo giornale una linea di pensiero e di azione, un fremito inesausto di lotte, un alto senso di dignità morale.
Pochi documenti sono così espressivi di un’epoca come gli articoli di Giuseppe Donati e vasta benemerenza nazionale e larga notorietà raccolse con il suo coraggioso atto di denuncia contro De Bono, con il suo “quartarellismo” di cui deve andare orgoglioso chi sa disdegnare l’ironia di crudeli potenti e dei loro rozzi ed impinguati adulatori, per riguardare solo ciò che di grande e di ideale deve essere in una causa in cui la giustizia è destinata a soccombere sotto il peso insolente della forza.
Perseguitato a morte, egli non cede le sue armi e preferisce lasciare la sua terra, la sua sposa, le sue figlie (l’ultima delle quali neppure conobbe) e che non potrà più riabbracciare in questa vita. Dal 1925 al 1930 è fuoruscito a Parigi: giornalista, commesso di libreria, e pure cameriere, nessuna umiliazione accresce il suo spirito così tenace da essere persino sostegno della sua vacillante salute.
Dopo una parentesi di insegnamento a Malta, egli ritorna nella capitale francese ove l’aspetta una lenta agonia ed infine, il 16 agosto 1931, il riposante sonno della morte.
Egli è uno dei martiri della lotta antifascista, uno dei più coraggiosi combattenti dell’opposizione
Un esempio per le generazioni che salgono.
Il suo ricordo rimasto gelosamente custodito nel cuore di una larga schiera di amici i quali oggi vedono ancora rialzata al vento questa bandiera, che, in nuovi climi di lotta politica, intende mantenere viva una fiera tradizione di lotta per la nostra Democrazia cristiana.
[Fonte: Il Popolo – 15 agosto 1944. Titolo originale: Giuseppe Donati]