Prof. Vestuti, per come si stanno mettendo le cose – e non da ieri – presto del “vecchio continente” resterà la dimensione geografica e l’aggettivo “vecchio”, inteso in senso deteriore. L’Europa “strategica” rispetto ai due conflitti mondiali del Novecento ma ancor di più l’Europa culla delle civiltà tramandate, della cultura, delle arti e delle scienze rischierà di perdere un triplice confronto. Sul piano geoeconomico quello che la vede diventare boccone ghiotto per le mire espansive della Cina e di Singapore, terminale strategico della “via della seta”. Su quello geopolitico il pericolo di essere considerato ruota di scorta e partner subordinato nell’alleanza atlantica dove si evidenzia la primazia degli USA. A livello demografico continuerà l’emigrazione dall’Africa per le guerre in atto, l’instabilità politica, la fame e la sovrapopolazione: sia nell’area araba che in quella subsahariana, la popolazione raddoppia ogni 15 anni (cioè prima che una generazione sia matura) avendo una durata media di vita sotto i 60 anni. La Nigeria entro il 2050 diventerà il quarto Paese al mondo per popolazione, parte della quale sarà stanziale in Europa. A Suo parere quali saranno le conseguenze possibili di queste suggestive derive?
Il tragico avvenimento finale che concluse una progressiva disgregazione dell’Europa è rappresentato dalla sconfitta della Germania, nella prima Guerra Mondiale. Su questo punto il mio grande amico Ernst Nolte mi disse:” Ecco una tesi da non esporre, oggi, da noi”. La storia contrariamente al detto comune, si fa con i se. Se la Germania fosse emersa vincitrice, non ci sarebbe stato il bolscevismo, il fascismo ed il nazionalsocialismo. Cioè le forze che miravano ad una, come dire, “sopraffazione”. La vendetta dei vincitori del conflitto fu talmente violenta da provocare un feroce risentimento. Nel campo economico si pensò di distruggere l’apparato industriale tedesco ed al tempo stesso esigere incredibili riparazioni, da un paese stremato. Nacque, così, il libro che doveva consacrare Keynes: “Le conseguenze economiche della pace”. La iperinflazione in Germania, distrusse la classe media. Per averne un’idea racconto quanto mi capitò, sostando in un salottino di un industriale milanese: un quadretto, ove era incorniciato un biglietto del tram cittadino, a Berlino. Era costoso: sette miliardi… Le umiliazioni psicologiche furono volutamente esorbitanti. La rivincita di un popolo, il francese, che doveva riscattare l’umiliante sconfitta di Napoleone III, fu un errore ed un delitto. Con questi presupposti tutto fu condizionato. Noi ci collocammo, tra i perdenti di professione. Per quanto concerne il suo richiamo, caro Francesco, alla nostra crisi demografica e all’Africa faccio una sola considerazione. Si prevede che dopo il 2050 la popolazione mondiale arriverà a dieci miliardi di persone. Il maggior apporto sarà quello africano, pervenendo così, a complessivi quattro miliardi. Se solo il 5% di quella popolazione volesse trasferirsi in Europa ci sarebbe un movimento di 200 milioni: una cifra insopportabile per l’intero nostro continente.
Se ripensiamo alla ispirazione dei Padri fondatori della Comunità Europea (De Gasperi, Adenauer, Schumann, Spinelli, Monnet…) immaginiamo un modello istituzionale che in realtà non si è mai realizzato oltre la dimensione economico-monetaria. Nonostante si sia dato la struttura formale di Unione Europea e si sia attrezzata sul piano parlamentare e istituzionale, nonostante gli accordi del trattato di Schengen, il nostro continente ha evidenziato latenti divisioni, primazie e alleanze interne, prevalenza di logiche finanziarie rispetto ai temi identitari, sociali e del lavoro. Perché il percorso unitario incede così faticosamente? Due recenti avvenimenti – la Brexit e la gestione della pandemia hanno evidenziato discordanze, prese di distanze o estenuanti accordi. Quali le cause remote e quelle occasionali?
La forza dell’Europa del passato è stata la sua diversità: cattolici e protestanti, classici e romantici, idealisti e storicisti, marxisti, liberisti, democratici e fascisti. L’unificazione delle aspirazioni è impossibile. Occorrerebbe una forza leader, ma quale sarà così potente da imporsi?
A Suo parere in particolare l’uscita del Regno Unito dalla U.E. è dovuta più ad una consapevolezza di forza (economica, istituzionale, di strategia) del Paese uscente oppure ad una disistima delle potenzialità di coesione in ambito europeo, alla sfiducia nell’euro e alla considerazione che a livello comunitario i nazionalismi prevalgono alla fin fine sulle convergenze in una “casa comune”? La vittoria senza se e senza ma di Boris Johnson avrà ripercussioni difficilmente immaginabili anche se profonde per il vecchio continente? Aggiungo: Lei crede che una Europa così “allargata” (anche dopo la Brexit) sia politicamente gestibile?
Non faccio che ripetermi: senza una forza trainante, non si hanno unificazioni. Come dire? Alessandro Magno, Augusto, Carlo Magno e, poi, Carlo V e Luigi XIV e, per saltum Napoleone e Hitler, non furono “democratici”, bensì imperialisti, cioè fautori di una politica, che ai nostri intellettuali sembra e ci è addebitata come un fenomeno moderno. L’Inghilterra si è trovata, sempre nella politica europea, in bilico. Oggi tra New York, Berlino e Francoforte ha preferito la prima.
L’Alleanza Atlantica indugia a superare una visione geopolitica dell’ordine mondiale ancorata al XX secolo. Ciò avviene mentre Russia e Cina stanno dispiegando una strategia geoeconomica nel XXI secolo alla quale quella geopolitica è di fatto subordinata. Washington è consapevole che la sua egemonia sulla gestione della globalizzazione non è più duratura. La transizione USA dal multilateralismo al bilateralismo è netta: spostare gli asset strategici dell’economia globale verso l’Asia. Ciò comporta da parte della Casa Bianca un riconoscimento della Cina quale potenza in grado di determinare nuove primazie e tassonomie in evoluzione nel nuovo ordine mondiale?
Non esagererei sul fenomeno Cina. Molto pesa la nostra mania di vedere il divenire storico, sotto l’incubo del “ciclo”, così che gli USA sono condannati a cedere il passo. Per ora gli Stati Uniti hanno una prevalenza militare, tecnologica e, soprattutto, finanziaria. Il dollaro è la moneta leader; la capitalizzazione di borsa è, a New York, di 22 trilioni a Wall Sreet e 9 nel Nasquad; Shangai chiude con 3tn e 900bn. Quest’ultima indicazione è interessante, perché la borsa è la migliore indicatrice dello sviluppo del mercato dei capitali. La Cina è oggi al 18% dell’economia mondiale, mentre la finanza, decisiva, è solo il 4%.
Ciò che un tempo era considerato l’arbitro indiscusso della stabilità politica planetaria (il controllo della NATO quale agente di garanzia di tutele) ora è subordinato ad uno svincolo sulla condivisione delle strategie dell’alleanza atlantica da parte degli USA che sotto la guida di Trump hanno già lanciato messaggi all’Europa alternando trionfalismi (America first) e recriminazioni sugli investimenti in tema di sicurezza del vecchio continente. Sulla base di quali dati si può misurare lo sviluppo della potenza americana? Quali i nuovi rapporti con l’Europa che strizza l’occhio alla Cina?
Anche ora le nazioni europee hanno programmi e strategie differenti. Per il nostro Paese il debito pubblico è enorme ed alcuni (W. Munchau sul Financial Times) prevedono possa salire al 180% del PIL. Eppure la celebre coppia Rogoff e Reinhart insiste che non può esservi incremento economico, se il debito pubblico supera quota 90%! Una situazione insostenibile, con la sorpresa di un risparmio nazionale di 4tn e 200bn statico, cioè che non è reinvestito. Un paese ricco, che si muove con atteggiamenti da miserabile. Questa posizione, anzi reazione, é determinata dalla politica. Psicologico-politiche sono le motivazioni, anche giudiziarie, che bloccano progetti ed iniziative. Per l’evasione fiscale occorrerebbe comprendere se essa è causa o conseguenza di una politica fiscale, che appare esosa. Vorrei non parlare dell’aspetto culturale, perché è troppo doloroso e mortificante. Penso solo al detto di Nietzsche: “Considerateli dunque questi inutili. Essi rubano i segreti degli inventori e i tesori dei saggi. Essi chiamano il loro furto civiltà e tutto, a causa loro, diviene malaticcio e caduco”. Spererei tanto leggere un veramente grande libro di oggi. Che so: “il Manifesto” o “La ribellione delle masse”, ma (forse per mia miopia) non riesco a scorgere nemmeno la caricatura di opere siffatte. E lo dico serenamente: non sono rimasto, né aspiro a Coblenza…
USA, Unione Sovietica, Cina e India perseguono visibilmente interessi contrapposti per essere reciprocamente prevalenti: Trump non ha certo visto di buon occhio un’OPA della Cina lanciata sull’Italia ma – attraverso il nostro Paese- tendenzialmente estensibile al vecchio continente. Né credo che Putin ne sia soddisfatto. Qual è il potere contrattuale di un’Europa frazionata, con Governi che la vogliono lasciare, forze politiche sovraniste e nazionaliste, Paesi in recessione economica? Se L’Europa si presenta indebolita e fragile ai consessi mondiali non saranno certo i brodini e i pannicelli caldi dell’U.E. a rinforzarla. Il MES, meglio noto come Fondo salva Stati, sembra l’ineluttabile conclusione della crisi del 2008 ma non gode della unanimità dei consensi tra le forze politiche che siedono a Strasburgo. Quali sviluppi prevede anche in relazione alla crisi pandemica, alla guerra dei dazi e ai riflessi economici?
Penso sia necessario distinguere alcune cose. L’Europa si presenta, come lei ben dice “indebolita e fragile”. Di fronte ha la necessità di operare con grandi potenze. Sarei, però, cauto a creare una nuova gerarchia tra USA, Cina e Russia, per non cadere nell’errore clamoroso del grande economista Samuelson, che vide l’Unione Sovietica superare gli Stati Uniti….
Possiamo considerare chiusa l’epoca della globalizzazione? Nel riposizionamento strategico delle potenze mondiali l’Europa troverà le ragioni per ricompattarsi o prevarranno i nazionalismi che la renderanno un ghiotto boccone per le politiche espansive della Cina? Come valuta il Memorandum Italia-Cina del 2019 e quali sono state le derive culturali che hanno portato di fatto ad un indebolimento dell’U.E. sullo scacchiere mondiale? Paradossalmente è stata la parte più debole dell’Europa – cioè l’Italia – a spingere verso accordi con la Cina, bypassando l’alleanza con gli USA e la Nato. Si tratta di lungimiranza o dabbenaggine?
La globalizzazione è il frutto dell’accelerazione immensa e della facilitazione del rapporto tra Stati e persone. È, come dire, un fatto obbiettivo, non modificabile. Per quanto concerne l’Italia, vale la vecchia abitudine di essere “furbi” e andare d’accordo ed in disaccordo con tutti. Bisogna tenere presente l’osservazione di Bismarck “non so se l’Italia sia la più piccola delle grandi potenze, o la più grande delle piccole potenze”.
A differenza di Paesi come l’Italia, dove l’alternanza di governo determina al massimo una “mediocre continuità” entro la quale restano latenti i problemi di sempre (stagnazione e poi recessione, assenza di vere riforme istituzionali, debito pubblico, evasione fiscale, PIL debole, mercato del lavoro chiuso nell’ascensore al piano terra, sostenibilità generazionale ecc.) non Le sembra che al bipolarismo politico tra repubblicani e democratici negli USA corrispondano radicali differenze di strategia politica ed economica nella guida del Paese? L’America di Trump non è più quella di Obama, come quella di Reagan non era quella pensata dai Kennedy.
L’Italia è dominata da una classe dirigente molto mediocre, che opera soltanto con una visione miope, a breve raggio. Non abbiamo una gerarchia, ma neanche una strategia. Mi pare sia necessario essere cauti nel giudicare Trump, che subisce lo stesso trattamento indegno, nefasto e sleale, cui fu sottoposto Berlusconi. Una cosa triste, da un punto di vista democratico. Di Kennedy non ho mai compreso, certamente per mia colpa, i grandi pensieri ed azioni… L’unico grande Presidente (Vietnam, Cina) mi sembra Nixon.
Come si presenteranno e con quali programmi democratici e repubblicani alle elezioni presidenziali di novembre p.v.? Lei pensa che Trump uscirà indenne dal ciclone pandemico che negli USA è stato e continua ad essere particolarmente devastante per l’economia e il mercato del lavoro?
Vorrei rinviare, su Trump, a quanto detto nella domanda precedente. Con la sua politica prepandemia, aveva assicurato la piena occupazione. Quale la reazione se un nostro governante arrivasse ad un medesimo risultato?
Osservando nelle pieghe delle derive socioeconomiche del nostro Paese da quando la parola “crisi si è stabilmente insediata in tutti i contesti istituzionali e sociali quali sono stati i fattori che più incisivamente ci hanno fatto imboccare il piano inclinato verso la crescita zero? Penso ai mali endemici dell’Italia, l’evasione fiscale e la burocrazia, che iconicamente immagino come due palle al piede irremovibili. Penso poi al decadimento culturale, a quello etico e a quello politico: da molti anni si vive una condizione di avvitamento autoreferenziale che ci consegna il fanale di coda dell’Europa. La contingenza della pandemia (che abbiamo subìto più di altri Paesi) e il recente declassamento a BBB/meno assegnato al nostro debito pubblico dall’agenzia di rating FITCH quali ulteriori Involuzioni lasciano presagire?
L’attuale pandemia ha confermato la patologica inadeguatezza della burocrazia. Un problema che viene da lontano. Più aumenta l’intervento dello Stato nella vita sociale, più questo enorme corpo ottuso impedisce ogni attività. In un tempo dominato dal tempo, questo grosso blocco è paralizzante e spessissimo comporta reazioni aspre.
La Sua esperienza accademica e la conoscenza comparativa dei sistemi scolastici dei Paesi dell’U.E. quale valutazione La inducono ad esprimere sulla efficienza/efficacia formativa della Scuola italiana? Lei pensa che la tradizione umanistica e classica prevalente nella nostra cultura sia compatibile con i processi di digitalizzazione degli apprendimenti? Le pare accettabile che nel sistema scolastico del Paese che meglio di ogni altro custodisce la tradizione culturale dell’Umanesimo e del Rinascimento vengano ridimensionati ai limiti dell’espunzione gli insegnamenti di materie come la storia e la geografia, ridotte a vere e proprie cenerentole della formazione dei ragazzi? Non Le sembra invece che la storia dell’arte, la musica, la poesia, la pittura debbano trovare a pieno titolo cittadinanza e centralità nell’educazione al gusto estetico nelle nostre scuole? Scomparirà allora dalla scuola l’esprit de finesse? Ha qualche esperienza da riferire al riguardo?
La spinta al sapere scientifico e tecnologico non ci deve far dimenticare la cultura classica. In difetto cadremmo nella situazione che Konrad Lorenz paventava: “Tra poco sapremo sempre di più su sempre di meno. Finché noi sapremo tutto su nulla”. Questo monito deve essere la base per un nostro operare più altamente.