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lunedì, 29 Settembre, 2025
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I Baltici hanno paura. Con qualche ragione

La fragilità geografica e demografica rende Estonia, Lettonia e Lituania vulnerabili all’aggressività russa. La memoria del passato sovietico e la guerra in Ucraina alimentano i timori.

Profondità strategica. Quella che ha l’Ucraina ma non hanno i paesi baltici. Estonia, Lettonia, Lituania cubano solo 175 mila kmq, strette fra il Mar Baltico e Russia e Bielorussia, incombenti su di loro. Insieme hanno una popolazione di soli 6 milioni di abitanti, impossibilitati – ovviamente – a costituire Forze Armate importanti dal punto di vista numerico.

Una paura antica e mai sopita

Sono molte le ragioni che alimentano, non da oggi, le paure dei cittadini di quella regione. Aumentate di molto dopo l’attacco russo a Kyiv e quasi trasformatesi in incubo nelle ultime settimane, scandite dalle incursioni di droni russi negli spazi aerei anche di altri paesi dell’area.

La “paura russa” dei baltici è atavica e comunque, per rimanere allo scorso secolo, essa deriva dall’invasione dei loro territori attuata da Stalin nel 1940 e della definitiva occupazione nel 1944 con annessa inclusione nell’URSS. Con le conseguenze connesse, sempre, in casi simili: deportazioni di massa, annullamento della cultura locale, persecuzione religiosa, cancellazione di ogni forma di dissenso. Avvenimenti troppo recenti per essere stati dimenticati in questi 35 anni di libertà dal giogo sovietico.

Dalla Transnistria alla Crimea

Durante i quali la paura è stata alimentata dalle azioni condotte da Mosca in territori quali la Transnistria in Moldova, o l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud in Georgia o, ancora, la Crimea in Ucraina. Regioni ove la presenza di consistenti minoranze russofone hanno giustificato interventi di varia natura, anche militare, voluti e diretti dal Cremlino.

In Estonia vive una consistente minoranza russa, che nella provincia di Narva è addirittura maggioritaria. In Lettonia la situazione è simile, appena un po’ attenuata: e comunque pure lì v’è una provincia, Latgalia, a maggioranza russofona. E ora tutti sappiamo che Putin vuole “proteggere” queste popolazioni, a suo dire sempre, invariabilmente, oppresse nei loro diritti dai governi nazionali locali.

Il tallone d’Achille baltico

Laddove questo problema è minore, come in Lituania, incombe però la questione geografica. La scarsa profondità, appunto. E Vilnius, a soli 30 km dal confine con la Bielorussia, deve fare i conti con l’ormai famoso Suwalki Gap (ne abbiamo scritto anche qui più volte), il corridoio di 65 km che costituisce l’esile confine fra Lituania e Polonia, stretto fra Kaliningrad (l’exclave russa sul Baltico) a ovest e Bielorussia a est: “il più pericoloso posto al mondo”, ha sentenziato a suo tempo l’autorevole Politico.

Il più pericoloso forse no, ma un vero tallone d’Achille per le nazioni baltiche certo sì (Nato’s Achilles’ heel lo definiscono al Quartier Generale dell’Alleanza): velocemente occupabile con un’incursione orchestrata in poche ore, che separerebbe fisicamente le tre nazioni baltiche dalla Polonia e dunque dall’Alleanza Atlantica, alla quale aderirono prontamente, già nel 1999, proprio in quanto consapevoli del pericolo incombente su di loro.

Difesa e riarmo

Plasticamente ricordatogli dalla Duma nel 2015, quando revocò, con una legge in qualche modo simbolica, priva di qualsiasi fondamento giuridico ma significativa nel suo messaggio politico, il diritto di Estonia, Lettonia e Lituania a separarsi dall’URSS (resuscitata per l’occasione!). Una provocazione, è evidente. Contenente però un avvertimento implicito: “prima o poi tornerete qui”. Del resto, il Cremlino ha sempre considerato l’allargamento della NATO sino ai suoi confini una minaccia reale, alla quale è indispensabile rispondere.

E così Tallinn, Riga e Vilnius sono corse ai ripari: aumentando sin oltre il 5% del PIL le spese per la difesa, incrementando numericamente gli effettivi nei rispettivi eserciti, sollecitando la NATO a rafforzare la loro protezione (fino alla recente operazione “Sentinella dell’Est”), istituendo una “Baltic Line of Defence” sul terreno costituita da recinzioni, bunker, barriere in cemento armato, utili a frenare una possibile invasione da terra. Da bloccare anche con la disseminazione di mine antiuomo. A tal fine ritirandosi, con Polonia e Finlandia, dal Trattato di Ottawa che le proibisce.

Anche a questo – segno dei tempi oscuri che stiamo vivendo – ha portato la svolta nella Storia avviata nel febbraio 2022.