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giovedì, Marzo 13, 2025
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I cattolici dopo Trieste

Ciò che si è detto nella Settimana sociale a proposito dell’impegno dei cristiani nella società, ha messo in moto aspettative nuove. Senza fughe in avanti. Alla fine serve comunque il “salto” rappresentato dalla politica.

Il convegno sul “Dopo Trieste” in programma a Roma il 9 dicembre non ha un carattere politico, in senso stretto, semmai costituisce un’occasione per indagare gli sviluppi, diretti o indiretti, della Settimana Sociale dei cattolici. Ciò che si è detto in quella sede a proposito dell’impegno dei cristiani nella società, ha messo in moto aspettative nuove. Senza fughe in avanti. Risuonano infatti le parole di Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania: “Più che un nuovo partito dei cattolici italiani, serve uno spartito”. Ed è già un’impresa, perché ogni movimento o realtà di base vive da anni nel suo ambiente identitario, non avendo la percezione di cosa significhi lo sforzo della sinfonia: in realtà si suona a orecchio, liberamente e senza spartito.

Forse la novità sta nell’accento che si pone sul prepolitico, immaginando che sia il momento della rigenerazione di un pensiero che in fondo dovrebbe legarsi allo spirito della sinodalità. La Chiesa di Francesco propone questa regola e da essa promana l’esigenza di un approccio “a vocazione comunitaria”. Non è l’illusione di una scorciatoia, bensì la sfida alle abitudini di una prassi arruginita, spesso alimentata dal particolarismo. Bisogna uscire da questa gabbia di autolegittimazione per la quale è inibita la ricerca di convergenze più ampie e necessariamente più impegnative. Da Trieste viene questo messaggio semplice e potente.

Ora, se la cosiddetta “ecclesiosfera” ha bisogno dei suoi tempi, in un ambito di autonomia che nessuno può scalfire, nulla impedisce l’animazione di un analogo processo di fuoriuscita dal frammentarismo dell’azione pubblica. Preme una volontà, ancora generica, di aggregazione: colpisce infatti la capacità di “essere presenti” nel tessuto delle autonomie locali. In particolare, si riversa da tempo nello spazio delle liste civiche la spontanea mobilitazione di uomini e donne – tra loro i giovani sono tanti – che dalle parrocchie o dal volontariato sperimentano la possibilità di declinare un certo “verbo esortativo” implicante il servizio al bene comune. La ricchezza di questo movimento non deve andare dispersa.

Ecco il punto. Per tutto ciò conta ancora la politica, a patto che si faccia orizzonte di esperienze – e di esperienze dentro un orizzonte – così da cogliere un principio direttivo in vista di mete future. Benigno Zaccagnini, l’alfiere del rinnovamento della Dc in una fase tormentata della vita democratica, esprimeva questo concetto parlando del “salto” che la politica implica e rappresenta. In effetti, è di un vero e proprio “salto” che si avverte oggi la necessità, altrimenti ogni incentivo alla ripresa dell’iniziativa nel solco del cattolicesimo democratico è destinata ad accartocciarsi sotto il peso dell’astuzia o dell’improvvisazione. È innegabile che lo scenario sia ormai caratterizzato da scelte ineludibili e sempre più impellenti.