Molte volte nel corso degli anni scorsi abbiamo ascoltato la ricorrente lamentela di chi auspicava che i vescovi facessero sentire la propria voce a sostegno della ripresa di una iniziativa politica dei cattolici.
E’ chiaro come in molte situazioni, a fronte dell’ampia divisione dei laici in diverse formazioni politiche, spesso l’una contro l’altra armata, gerarchia e clero non potevano che limitarsi a prendere atto di uno stato di cose.
Nonostante fosse evidente che, a lungo andare, ciò avrebbe solo portato all’indifferenza e all’inconsistenza; nonostante apparisse sempre più evidente la necessità della riproposizione di quei valori e quelle istanze collegate ad uno dei filoni ideali di pensiero e programmatico che tanto aveva inciso in positivo nella storia moderna del Paese e dell’intera Europa.
Questa necessità sta spingendo adesso molti vescovi ad intervenire sempre più spesso con un ampio spettro di posizioni. Speculari e coincidenti con la varietà di sensibilità ed atteggiamenti che ben sappiamo essere presenti nel mondo laicale interessato alla cosa pubblica.
E’ inevitabile, dunque, accettare che una dialettica ed una riflessione sia avviata per individuare la strada migliore al fine di definire quali possano essere iniziative e strumenti utili a raggiungere quel bene comune che resta il riferimento generale.
Il cardinale Gualtiero Bassetti è venuto a mettere in qualche modo ordine in questo complesso di sentimenti e prospettive destinate ad agitare il campo di coloro che formano la composita realtà, oggi, rappresentata dai cattolici intenzionati ad impegnarsi politicamente.
Abbiamo colto nelle sollecitazioni del Presidente della Cei, nel suo richiamo all’esperienza sturziana, le finalità di un discorso “ aperto” il cui sbocco è l’intera gente italiana.
A queste sollecitazioni si sono aggiunte quelle del cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin. Anche queste non dedicate e dirette ad una sola parte, bensì rivolte a tutti, indipendentemente dal credo religioso, dalla storia, dalla collocazione politica, dall’appartenenza ad una tradizione proprie di ciascuno.
Qui devono emergere il significato e la forza di una “ nuova rete”, di un nuovo sistema di relazioni da portare al servizio di tutti gli italiani e gli europei.
Un qualcosa che parta dal basso, dalle persone di buona volontà, dai competenti, dalle professionalità, da coloro che non sotterrano il proprio talento o se lo giocano solo della dimensione individualistica, dai circoli e dai gruppi che intendono portare il loro apporto all’interno di un superiore processo di presenza pubblica.
Il problema non è quello di chiedersi solamente cosa ci si aspetti dai pastori, la cui funzione e ruolo assurgono ad una dimensione del tutto diversa, più ampia, più “ profonda” rispetto a quella riconducibile alle scelte della politica.
Si tratta di comprendere il fatto che dare sostanza all’ispirazione cristiana, nel momento in cui ci si appresta ad una immersione nelle cose del mondo, significhi misurarsi sul piano della soluzione dei problemi reali, quelli vissuti direttamente dalla gente.
Siamo consapevoli che molte sono le opzioni e non stupisce se i cattolici intendano declinare il loro impegno lungo diverse prospettive e sulla base di differenti sensibilità.
In ogni caso, una sorta di “ convergenza” potrebbe pur sempre realizzarsi su tutto ciò che concerne il rispetto della vita, sin dal momento del concepimento, la dignità della persona, il sostegno alla famiglia, quella generata sulla base dell’amore di una donna con un uomo, l’identificazione e il sostegno ad una corretta e doverosa applicazione delle nuove scoperte scientifiche, destinate a toccare da vicino l’essenza dell’umanità. Anche molte questioni economiche e sociali possono costituire occasione di confronto costruttivo e di comune proposta.
Con il Concilio Ecumenico Vaticano II iniziò il cammino della Chiesa “ in uscita” con l’intento di avvolgere in un più aderente abbraccio il “ nuovo”, il quale comunque già in precedenza non tutto veniva aborrito e condannato. Anche se ciò non era recepito in modo chiaro e distinto da chi del mondo cattolico non faceva parte.
Questo specifico cammino, perché altri se ne avviarono sotto il profilo della catechesi e della teologia, iniziò sulla base di un riconoscimento del ruolo specifico del laico, parte viva ed attiva della Chiesa e, al tempo stesso, immerso nel mondo.
Poi, giunse un periodo complesso. Prese le mosse negli anni ’90, con la scelta della Chiesa italiana di non sostenere più quello che fino ad allora era stato il partito di riferimento organico dei cattolici.
L’allontanarsi da esso sembrò trovare una giustificazione in una serie di vicende cui forse si poteva provare a dare una risposta diversa, ma eventi drammatici e traumatici non sembrarono allora essere altrimenti governabili.
Si impose, invece, il convincimento che meglio sarebbe stato tutelare principi e valori in un rapporto “ diretto” con le tante realtà italiane, incluse quelle politiche ed istituzionali. Questo ha in qualche modo favorito e sostenuto il processo della “ diaspora” e la conseguente irrilevanza di cui molte volte abbiamo già parlato.
Purtroppo, assieme all’abbandono della particolare entità storicamente espressa dal mondo cattolico democratico in politica, finì per essere anche trascurata la complessiva partecipazione dei laici cattolici nel tessuto civile e sociale. Si lasciò che la rete allentasse le proprie maglie, fino alla scomparsa.
Oggi, non solo in Italia, molti cattolici intenzionati a riproporre una presenza certa attorno ai valori della solidarietà, della sussidiarietà, del superamento della visione liberista e di quella socialista, si stanno chiedendo anche quale possa essere il giusto rapporto da instaurare con gli uomini di Chiesa nel contesto specifico che debbono affrontare. Come avviene il contrario, in una feconda, reciproca riflessione.
Noi laici per primi dobbiamo capire che l’interessarsi da parte della Chiesa ai “ problemi temporali” deve partire dalla sollecitudine verso quei mali e quelle questioni per il risolvere le quali è assolutamente necessario l’intervento fattivo ed operoso della intera società, dello Stato, della comunità.
Certo, ad essi, ed ad essi solamente, sta il diritto ed il dovere di prospettare risposte concrete a quelle deficienze, ritardi, contraddizioni e pericoli che la Chiesa, però, aiuta ad individuare sulla base della propria esperienza derivante dall’essere, per dirla con san Paolo VI, “ esperta in umanità”.
Ai cattolici in perenne attesa di un “ intervento” diretto ed esplicito da parte delle gerarchie deve essere anche portata all’attenzione un’altra riflessione.
Poiché il laico credente è al tempo stesso parte della Chiesa e parte del mondo, è necessario non perdere mai di vista, alla luce dell’insegnamento di Cristo sulla distinzione tra ciò che è di Dio e ciò che è dell’uomo, la individuazione di differenti piani di collocazione.
In qualche modo, è Cristo stesso che prefigura l’autonomia del laico nella soluzione dei suoi problemi nelle istituzioni e nella società umana.
Alla Chiesa non può e non deve essere chiesto di più della capacità di essere maestra nell’indicare, per dirla con Maritan, la “ forza vivificante del cristianesimo nell’esistenza temporale”.