Pd, cambia tutto. Ma con chi?

Il neo segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha annunciato, giustamente e pomposamente, che il suo partito "cambierà tutto".

Articolo già apparso sulle pagine di https://www.huffingtonpost.it

Il neo segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha annunciato, giustamente e pomposamente, che il suo partito “cambierà tutto”. E ha ragione. La trasformazione del Pd in un nuovo e aggiornato Pds è ormai sotto gli occhi di tutti.

L’archiviazione del partito a “vocazione maggioritaria” da un lato e il ritorno del partito della sinistra italiana dall’altro, sono la conferma plateale che il Pd ha cambiato pelle e ragione sociale rispetto al passato. O meglio, cerca di cambiare pelle.

Sotto questo profilo, è perfettamente inutile proseguire nella liturgia, e nell’ipocrisia, di un partito plurale che raccoglie le più grandi culture politiche del Novecento nel medesimo partito. Quella stagione si è chiusa definitivamente con l’archiviazione definitiva e irreversibile del renzismo e la ridiscesa in campo della cultura, del pensiero, della tradizione e della simbologia della sinistra italiana.

Del resto, un nuovo e rinnovato Pds, come l’ha coerentemente tratteggiato Zingaretti, non può che comportarsi così. Adesso il compito del nuovo corso del Pd/Pds è quello di ricomporre tutta l’area della sinistra italiana. Quella di governo, quella che un tempo si definiva extraparlamentare, quella movimentista e tutte quelle frange che più o meno sono riconducibili alla galassia della sinistra italiana.

È del tutto evidente, al riguardo, che chi non proviene da quel pensiero, da quella cultura, da quella tradizione e da quella simbologia deve contribuire a organizzare un altro “campo”, come si suol dire in gergo. Il cosiddetto “centro”, cattolico democratico, cattolico popolare, liberal democratico e laico riformista, non può che riconoscersi in un altro movimento/partito/campo politico e culturale.

Questa è la vera sfida politica, culturale e programmatica dei prossimi mesi. In particolare dopo il voto europeo che resta il vero e grande sondaggio popolare. Ogni altra interpretazione, seppur legittima, è del tutto fuori luogo. Come quella di pensare che i cattolici nel nuovo corso del Pd/Pds siano determinanti e indispensabili per garantire la pluralità di quel partito.

Su questo versante, e com’è evidente a tutti, il ruolo dei cattolici democratici e popolari nel partito di Zingaretti è sempre più simile a quello dei “cattolici indipendenti” di sinistra nel Pci degli anni Settanta e Ottanta. Cioè soprammobili utili per dire che il partito era plurale e che si limitava, per confermare quell’assunto, a regalare una manciata di seggi parlamentari a livello nazionale e qualche incarico di prestigio a livello locale.

Ma è inutile approfondire questo aspetto perché è del tutto scontato oltreché noto a tutti. Il problema di fondo del “nuovo corso” di Zingaretti e dell’impegno solenne a “cambiare tutto” rispetto al recente passato renziano, è con chi intraprendere e con chi condividere questo processo politico. Ed è proprio qui che emerge qualche contraddizione.

È appena sufficiente rivedere le immagini delle prime fila alla recente Assemblea nazionale all’hotel Ergife di Roma per rendersi conto che quasi tutti gli ex turbo renziani per lunghi cinque anni erano tutti lì a spellarsi le mani ogniqualvolta Zingaretti invocava una netta discontinuità rispetto al passato più o meno recente.

È inutile fare nomi e cognomi perché sono a tutti noti. Uno per tutti, l’ex sindaco di Torino Piero Fassino, fan di Renzi e del renzismo per tutto il tempo della segreteria del leader fiorentino e, di conseguenza, convinto sostenitore di tutte quelle scelte politiche che oggi si vogliono, almeno a parole, cancellare dall’orizzonte politico e programmatico del nuovo Pd/Pds.

E, oltre all’ex sindaco di Torino, l’elenco sarebbe lunghissimo avendo avuto Renzi una maggioranza nel partito che ondeggiava fra il 70 e l’80%. Ora, che in Italia ci sia la prassi consolidata nel tempo di salire sul carro del vincitore appena stravince e di scendere immediatamente quando quel vincitore va in disgrazia rinnegandolo pubblicamente, non è una gran novità.

È sempre stato così e sarà, presumibilmente, sempre così. Però qui il problema è un altro, almeno in apparenza. E cioè, come può essere serio, e soprattutto credibile, un partito che annuncia una rivoluzione radicale del suo progetto politico con una classe politica che sino a qualche tempo prima l’ha rinnegata altrettanto radicalmente?

Come può essere credibile un progetto politico che viene predicato e praticato – salvo il neo segretario del partito che non è mai stato un fan e un tifoso di Renzi e del Renzismo – da tutti coloro che hanno condiviso radicalmente il progetto renziano sino a quando è rimasto alla guida del partito beneficiando di incarichi, candidature, prebende e tutto ciò che è riconducibile alla cultura del potere?

Sono domande, semplici ma gigantesche, a cui il neo segretario del Pd/Pds dovrà dare una risposta altrettanto seria e credibile. Perché dopo l’entusiasmo delle primarie viene il tempo della politica e del suo progetto politico. Ed è proprio su questo versante che si gioca, a parere di molti e anche del mio, la statura e la personalità politica di Nicola Zingaretti.

Perché un nuovo progetto politico è anche e soprattutto credibile se viene incarnato e vissuto da chi non può essere accusato che ha sostenuto un disegno prolifico opposto per molti anni. Se, per intenderci, il “cambiamento totale” invocato giustamente e coerentemente da Zingaretti viene gestito concretamente da coloro che erano seduti in prima fila alla recente Assemblea nazionale del partito, più che un atto di grande cambiamento ci troveremmo semplicemente di fronte a una gigantesca operazione di camaleontismo politico. E cioè, l’eterno “cambiamo tutto affinché non cambi nulla”. Ovvero, il solito e ben noto alle cronache politiche gattopardismo.