E’ necessario “ rileggere” la narrazione delle proteste dei cosiddetti “ gilets” gialli che hanno tanto richiamato l’attenzione del mondo? A sentire il professor Giuseppe Sacco sì. Per pura combinazione egli si trovava a Parigi nel momento più acuto delle manifestazioni di strada e di piazza che hanno interessato anche la capitale francese. E’ interessante la definizione dei partecipanti a questo fenomeno che fa parlare di un “ grillismo” d’oltralpe o di strumentalizzazione da parte dell’ultra destra lepeniana. Invece, c’è qualcosa d’altro che non è stato colto dalla vulgata corrente e che chiama in ballo anche settori consistenti della realtà cattolica francese.
Giancarlo Infante – Professore, lei è appena rientrato da Parigi, ci può dire qualcosa che non abbiamo già letto sui giornali o visto in tv sul clima politico in queste giornate in cui la presidenza Macron sembra aver subito un nuovo colpo?
Giuseppe Sacco – Vi posso dire nel clima che regnava alla riunione del Comitato direttivo di un’importante rivista liberale, e fortemente europeista: un senso di preoccupazione, in parte di delusione, ma anche di aspettativa di nuovi sviluppi politici. E poi vi posso riferire quel che ho visto e sentito alla manifestazione dei gilets jaunes, sabato sugli Champs Elysées. Sono ovviamente due esperienze molto diverse tra di loro, ma secondo me entrambe piuttosto istruttive.
Inutile dire che il Comitato di redazione era un gruppo di intellettuali molto raffinati, e refrattari ai luoghi comuni; anzi, intellettualmente abituati a andare in controtendenza rispetto le mode. Basta ricordare che fondatore della rivista in questione è stato Raymond Aron, che per un quarto di secolo è stato l’anti-Sartre per eccellenza. E’ cioè andato controcorrente rispetto alla schiacciante maggioranza dei radical chic di Francia e d’Europa. Negli ultimi tempi, questo gruppo intellettuale molto autorevole aveva visto con grande interesse e simpatia la candidatura di Francois Fillon, aveva considerato spregevole il modo in cui egli era stato eliminato dalla scena elettorale, e solo molto a malincuore aveva accettato l’idea che per i prossimi cinque anni la Francia si sarebbe identificata con Macron. Ma non aveva per niente gioito dell’affaire Benallah, che ha finito per danneggiare l’immagine del Presidente e quella delle stesse istituzioni repubblicane.
Giancarlo Infante – E di fronte alla rivolta dei gilets jaunes?
Giuseppe Sacco – Oggi come qualche mese fa, di fronte alla brusca caduta della fiducia della società francese nel suo Presidente, questo gruppo di intellettuali ha soprattutto cercato di riflettere, e di capire il senso profondo degli avvenimenti. E non si è nascosta la profondità del fenomeno e la gravità dell’ora. Né l’ipotesi che, per deviare da se la collera dei Francesi, Macron possa sciogliere l’Assemblea Nazionale.
La collera – ha scritto un settimanale assai poco critico degli errori di Macron – è la parola di cui più si parla in questo momento. Ma la collera è un “sentimento parossistico che può crescere molto, ma anche diminuire, entrare in sonno, quando” – passato il week end delle manifestazioni di piazza – nelle civili e tranquille famiglie che costituiscono la Francia profonda “arriva il lunedì mattina, e bisogna riprendere la via del lavoro, portare i bambini a scuola, e riempire il frigo”.
Giancarlo Infante – Quale analisi emerge dalle riflessioni di questo gruppo? In definitiva, si tratta di una rivolta che viene molto dal basso, da strati sociali molto diversi dagli accademici, alti funzionari, ed uomini politici che si raccolgono attorno in un gruppo come quello.
Giuseppe Sacco – Non c’è stato dubbio sul fatto che si trattasse di un fenomeno serio e fortemente insolito. La sollevazione popolare che si è vista in queste ultime settimana è radicalmente diversa dai fenomeni con cui i media hanno cercato di fare confronti. Non si tratta di niente di simile alla rivolta delle banlieues dove vivono gli immigrati, che nel 2005 si sollevarono contro de Villepins, e in definitiva provocarono l’eclissi di quest’uomo politico colto, raffinato, e dalle notevoli capacità. E non c’è stato dubbio sul fatto che, con i gilets jaunes, siamo addirittura all’opposto rispetto al maggio ‘68, di cui l’intera élite radical chic celebra ormai addirittura il cinquantenario.
Giancarlo Infante – E da un punto di vista politico?
Giuseppe Sacco – I gilets jaunes sono Francesi di norma poco visibili, ma autentici; portatori di valori e di un’identità collettiva di tipo tradizionale, che si riaffacciano periodicamente ad una ribalta politica dominata da un’élite internazionalista e laicista. Ma soprattutto sono gli stessi – o meglio una parte di quelli – che scesero nelle piazze contro il “matrimonio per tutti” (cioè contro la concessione ai gay di sposarsi e di adottare bambini) in quella che si autodefinì una “manifestazione per tutti”. In altri termini sono la Francia profonda, maggioritariamente cattolica. Una Francia politicamente messa a tacere.
Giancarlo Infante – Ma quella fu a suo tempo una rivolta squisitamente politica, e che coinvolse molte più persone. Oggi, le fonti ufficiali – ed i media pro governativi – tendono piuttosto a fare un confronto con la crisi dei bonnets rouges, nell’autunno di cinque anni fa, più che con la “Manif pour tous”.
Giuseppe Sacco – Perché quella dei bonnets rouges fu una protesta innescata da un aumento della fiscalità sulle macchine agricole e sui mezzi pesanti, e perché coinvolse molte meno persone che non la rivolta cattolica . Rivolta quest’ultima che è stata vittima – come ha scritto la rivista Société – “di un vero delirio negazionista”. Un delirio che continua ancora oggi, quando il Ministero dell’Interno che aveva valutato ad oltre 300.000 persone i gilets jaunes scesi in piazza lo scorso week-end, ora parla di poco più di 100.000. E quando l’oscuro personaggio che lo regge dopo che il Ministro se ne andato sbattendo la porta, tenta di fare una pietosa speculazione politica dicendo che si tratta di una manifestazione organizzata dall’ex-Front National, oggi ribattezzato Rassemblement National.
Certo, non è quantitativamente comparabile al milione di manifestanti di allora, ma ha molti tratti in comune con quella protesta che vide scendere in piazza centinaia di migliaia di famiglie al completo, contro lo sconvolgimento dei valori cristiani implicito nel matrimonio gay, a seguito della legge cosiddetta “Mariage pour tous”. Ma la composizione della folla apparsa Sabato sugli Champs Elysées era molto simile. E del resto la Polizia lo sapeva benissimo, tanto è vero che ha evitato ogni scontro diretto.
Giancarlo Infante – E perché? La polizia francese non ha la fama di andarci piano con le manifestazioni non autorizzate, come era quella degli Champs Elysées.
Giuseppe Sacco – La polizia antisommossa, pur essendo presente in forze (3.000 uomini) aveva avuto ordine di non fare provocare feriti perché, una volta che i “violenti” mandati all’ospedale fossero risultati essere tranquilli lavoratori senza precedenti penali e madri di famiglia, Macron non avrebbe più potuto pretendere – come invece ha cominciato a fare personalmente – che non si trattava di una vera protesta, ma di una provocazione organizzata da “forze oscure”, come già aveva detto a proposito dei Cattolici di “Manif pour tous”, l’allora Primo Ministro Manuel Valls, personaggio oggi riciclato come spagnolo, e candidato alla carica di Sindaco separatista di Barcellona.
Giancarlo Infante – Quelle stesse famiglie si sono dunque oggi rivoltate per un aumento del prezzo del gasolio? O si tratta di un pretesto? Ci sarebbe da crederlo, tanto più visto che – come ha fatto notare persino la televisione italiana – il nuovo prezzo rimarrebbe comunque al di sotto di quanto noi accettiamo di pagare senza molti mugugni.
Giuseppe Sacco – Ripeto, sono Francesi autentici, ma estremamente marginalizzati. Solo che stavolta non si sollevano solo più in nome del loro codice etico ignorato e vilipeso. Sono famiglie francesi che vivono nelle campagne, nei piccoli centri, o alla periferia estrema della mostruosa agglomerazione suburbana di Parigi.
Sono famiglie che dipendono dall’automobile per sopravvivere, in una Francia semi-spopolata, in aree dove i servizi e i trasporti pubblici sono pressoché inesistenti, in un isolamento che noi Italiani neanche possiamo immaginare. In inverno, specialmente, le strade sono ridotte in pessimo stato e diventano pericolosissime a causa del verglas, un fenomeno che consiste nella formazione di cristalli di ghiaccio direttamente dalla nebbia sulle superfici solide, e che noi in Italia neanche conosciamo, tanto che non abbiamo neanche una parola per descriverlo, se non con il dialettale galaverna.
E da questa dipendenza dai vicoli a motore vengono sia il nome dei gilets jaunes che la loro uniforme, che è la giacchetta gialla più o meno catarifrangente che ogni automobilista deve – per disposizione UE – tenere in macchina.
Giancarlo Infante – E’ vero quel che ha scritto un settimanale francese? E cioè che si tratta di un movimento populistico « che va designato come tale”. E che “attualmente alla ricerca di un capo dalla mano ferma potrebbe ben presto essere comparato a quelli che hanno portato al potere Trump, Orban o Salvini ».
Giuseppe Sacco – Il Nouvel Obs’, settimanale che finge di essere “di sinistra”, è una delle più tipiche espressioni degli ambienti radical-chic parigini, proprio quelli che più disprezzano ed ignorano la “France périphérique” di cui sono espressione i gilets jaunes. Ed è per questo che fa finta di non capire la natura etica e spirituale della loro contestazione. E scrive che i gilets jaunes sono degli UFO sociali, cioè degli “oggetti sociali non identificati”, e in realtà impossibili da identificare. E che bisognerebbe essere assai astuti per prevedere quali saranno le conseguenze sociali e politiche delle loro azioni.
Poi tira in mezzo Salvini. Ma in realtà, in questo caso, nessun paragone con l’Italia è possibile. L’Italia è una nazione estremamente diversificata, con molte importanti e civilissime città che offrono servizi e occasioni culturali e politiche. Mentre il millenario centralismo francese ha fatto sì che in Francia non ci sia, su una superficie nazionale doppia di quella italiana, nessuna città che arriva ad un milione di abitanti, esclusa Parigi, che continua a crescere e va verso i quindici milioni. Già cinquant’anni fa un celebre libro, “Parigi e il deserto francese” denunciò le gravissime conseguenze sociali di questo assurdo squilibrio tra centro e periferia , che oggi si ancora aggravato a causa del fatto che ci sono ampie parti del territorio suburbano, quelle dove sono accatastati gli immigrati, che di fatto neanche la polizia paramilitare, i cosiddetti CRS riescono a controllare.
Giancarlo Infante – Si tratta quindi di una rivolta della periferia fisica, così come della periferia culturale, contro il centro?
Giuseppe Sacco – Esattamente! Solo che l’aggettivo “periferia” va inteso anche in senso culturale, civile e politico. Questa Francia arretrata si sente dimenticata anche sia politicamente, che economicamente e per le occasioni offerte alla sua popolazione. Ed è per far notare che anch’essi esistono che il week-end precedente, 17-18 Novembre più di 300.000 gilets jaunes hanno occupato un gran numero di nodi stradali in tutto il paese, creando una situazione che è costata un morto e 400 feriti. Ed è per farsi ricordare che Sabato scorso hanno voluto portare la loro protesta nel cuore più arrogante e opulento della capitale, a due passi dal Palazzo presidenziale e dall’ufficio del Primo Ministro.
L’obiettivo era chiaramente quello di segnalare alla “France d’en haut”, (la “Francia dei piani alti”, per così dire) che non può continuare a disprezzare ed ignorare la “France d’en bas”. E il rifiuto della nuova tassa sul gasolio sta a significare che gli strati più marginali della società non sono “taillables et corvéables à merci”, come si diceva nella Francia pre-rivoluzionaria per indicare quelli che dovevano solo pagare perché i nobili potessero continuare indisturbati a ballare il minuetto. E quando non potevano più pagare dovevano dare gratuitamente il loro corpo e il loro tempo, col lavoro forzato sulla terra dei nobili, per curare il fossato dei castelli, per costruire e mantenere le strade.
Giancarlo Infante – Ma davvero in Francia il distacco tra le classi sociali è così profondo?
Giuseppe Sacco – Per capire quanto sia largo il divario psicologico tra l’élite radical chic e l’insieme della popolazione, basta pensare che nei giorni immediatamente precedenti l’arrivo dei gilets jaunes a Parigi, il grado di approvazione di cui questi godevano era del 77 %, il che vuol dire che il consenso investiva anche le classi medie. Evidentemente, anche queste si sono stancate dal teatrino del potere. Evidentemente, per sedurle non basta più che la sindachessa della capitale si occupi del caso Riace e del suo Sindaco, celebrato come una specie di martire della causa umanitaria. Evidentemente, non basta più che, nella convinzione che ciò servisse a distrarre l’attenzione dei Francesi, la Sindachessa di Parigi, abbia organizzato in contemporanea una grande manifestazione contro la violenza sulle donne. Anzi, è balzato agli occhi il contrasto tra come sono andate le cose nelle due manifestazioni: una aveva un chiaro elemento di dramma, che ha finito per far apparire l’altra come poco più che una carnevalata di regime. Temo fortemente che si sia fatto così un serio danno alle pur giuste rivendicazioni femminili.
A farle apparire come strumentalizzate, viziate e persino ridicole, erano schierati soprattutto gli strati più popolari. Ma che pure riuscivano a presentare elementi polemici molto efficaci. “Ci dicono che l’aumento del gasolio è necessario per salvare il Pianeta, che altrimenti si arriva alla fine del mondo. ….. Ma questo non è problema che posso risolvere io. Il mio problema è arrivare alla fine del mese….”
Giancarlo Infante – E’ questa rabbia degli strati più marginali della popolazione che – secondo lei – spiega le violenze commesse sugli Champs Elysées?
Giuseppe Sacco – Io sono stato sugli Champs Elysées tutta la giornata di Sabato, e non ho visto nessuna violenza. L’intera giornata è stata pacifica. E’ vero che mai, dopo gli anni 30, neanche nel 1968, si erano viste barricate in fiamme che dividevano gli Champs Elysées in tre tronconi, ma si trattava di falò puramente dimostrativi. I pompieri li hanno spenti tra gli applausi della folla, che li invitava – così come faceva anche con la polizia – ad unirsi alla protesta contro il carovita. E la stessa polizia, che ha fatto largo uso di lacrimogeni, ha potuto constatare che i manifestanti evitavano lo scontro e si disperdevano, al suo avvicinarsi, nelle strade laterali, per poi tornare in massa dietro le spalle degli agenti. Cosicché al calare della notte l’Avenue splendeva nell’intatta bellezza dei suoi addobbi natalizi.
Macron sa benissimo che i gilets jaunes godono del consenso dei Francesi moderati e tradizionalisti, che mai commetterebbero né approverebbero atti vandalici. Ed è per screditarli agli occhi del loro stesso strato sociale che le fake news delle violenze sono state ossessivamente diffuse a partire dalla domenica mattina. Ovviamente sulla TV pubblica, ma anche e soprattutto – con un brusco capovolgimento di fronte – sul canale controllato dal gruppo tedesco Bertelesmann, che pure durante la giornata di sabato aveva testimoniato fedelmente del carattere pacifico della manifestazione.
Le violenze nascono in effetti nel momento in cui Macron invia un tweet di congratulazioni alle forze dell’ordine. A beneficio degli Italiani, esse si moltiplicano il giorno dopo nella penna del corrispondente del Corriere della Sera. Ma ben hanno fatto i giovani giornalisti televisivi, spediti l’indomani sul “luogo degli scontri” con l’ordine di mostrare i danni e le devastazioni dei gilets jaunes, a mandare le immagini vere di ciò che deturpava la cosiddetta “avenue più bella del mondo”, le montagne di bossoli di gas lacrimogeni sparati dalla polizia.