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giovedì, 31 Luglio, 2025
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I moralisti denunciano il male, i moralizzatori cercano di rimuoverlo

Una distinzione cara a Sandro Fontana, che aiuta a leggere la crisi della vita pubblica tra populismi, giustizialismo e deriva impolitica.

Sandro Fontana, storico cattolico e leader politico della sinistra sociale della Dc, amava ricordare e sottolineare la profonda differenza che intercorre fra i “moralisti” e i “moralizzatori”. Una differenza politica, culturale e, soprattutto, etica che ha attraversato la storia democratica del nostro Paese. Detta in termini semplici, e scegliendo il prezioso monito di Fontana, i “moralisti” sono coloro che individuano il male – nel caso specifico l’immoralità nella vita pubblica, appunto – e individuano la ricetta per batterlo in loro stessi. Cioè individuano nella loro persona o nel loro clan la soluzione del male. I “moralizzatori”, al contrario, una volta individuata la deriva da combattere, cercano di trovare le soluzioni politiche e legislative per sradicare quella malapianta.

Una frattura storica e strutturale nella sinistra italiana

Come si può vedere, non è una distinzione banale ma è, per fermarsi alla vicenda pubblica del nostro Paese, la profonda e radicale differenza che passa storicamente tra l’universo della sinistra italiana – un dato costitutivo e persin strutturale dal vecchio Pci in poi, arricchito ed integrato negli ultimi anni dalle forze populiste, demagogiche ed antipolitiche – rispetto al resto del mondo, come si suol dire. Certo, anche la destra non è affatto esente da questa deriva e da questa squallida e becera malapianta che affonda le sue radici in anni lontani. Basti pensare alla Lega – sia quella di Bossi delle origini che quella di Salvini – e ad alcune componenti della destra italiana.

Anche il mondo cattolico ha ceduto al richiamo del giustizialismo

Una deriva che, purtroppo, coinvolge anche settori consistenti del mondo cattolico italiano. Nello specifico, quella corrente culturale e politica che va sotto il nome di “cattocomunismo”. Cioè, tutti coloro che individuano nella “via giudiziaria al potere” lo strumento più efficace e più congeniale per battere l’avversario/nemico. Una strategia che, come tutti sanno, è intrisa di moralismo, di giustizialismo e di opportunismo. Categorie che erano, e restano, radicalmente estranee alle regole che disciplinano e caratterizzano una buona e sana politica.

La lezione di Fontana per comprendere la crisi di oggi

Ecco perché in ogni occasione dove emerge la cosiddetta “questione morale” – e nelle ultime settimane abbiamo avuto un’abbondanza di occasioni su cui riflettere, da Milano a Pesaro, da Torino a Bologna a Bari – emerge in modo plastico la differenza tra i “moralisti” e i “moralizzatori”. Una distinzione che trova cittadinanza e la sua profonda legittimazione sempre negli stessi partiti. Se il Pd della Schlein, i 5 Stelle di Conte, gli estremisti di Avs e la Lega sono quasi sempre d’accordo su come reagire di fronte ai cosiddetti scandali che hanno una ricaduta politica molto accentuata e forte, ci sono altri partiti che proprio su questo terreno sanno praticare una sana distinzione. Ma, come sempre capita, esiste anche una zona grigia dove la tentazione moralistica ed impolitica ha il sopravvento rispetto ad una efficace e chiara azione moralizzatrice.

Il moralismo è una deriva devastante

Comunque sia, si tratta di una differenza – quella fra i “moralisti” e i “moralizzatori” – che valeva ieri e che vale soprattutto oggi. E, per tornare a Sandro Fontana e alle concrete vicende del suo partito dell’epoca, la Dc, si tratta di una differenza politica, culturale ed etica che aveva riferimenti ben precisi anche nella storica e qualificata classe dirigente della Democrazia Cristiana. 

Basti pensare, quando si parla di “moralisti” e di “moralizzatori”, alla profonda ed atavica diversità che c’era tra leader e statisti come, per fare un solo esempio, tra Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Donat-Cattin. Ma, ieri come oggi, il moralismo continua ad essere una deriva devastante, pericolosa ed inquietante per la qualità della nostra democrazia e per la stessa credibilità delle nostre istituzioni democratiche.