I Popolari, uniti, devono far sentire la loro voce. A confronto con Castagnetti.

Oggi si fa più acuta la preoccupazione attorno alla rinascita di una destra radicale, giunta al potere in connubio con il populismo, per cui siamo chiamati innanzi tutto a definire in tempi rapidi la forma di una nuova alleanza democratica.

Dopo aver chiarito l’equivoco dovuto alla pubblicazione sul “Domani d’Italia” di un articolo apparso per errore a sua firma, con Pierluigi Castagnetti il colloquio si rianima di ragioni utili per aspetti e contenuti di ordine generale. Siamo abituati alla sincerità e al rispetto reciproco.

Pierluigi difende l’attività dell’Associazione “I Popolari” da lui presieduta con il fermo proposito di ottemperare alla deliberazione dell’ultimo congresso del Ppi, tenutosi a Roma nella primavera del 2002. In effetti, nella sua nota di qualche giorno fa, ha battuto con forza su questo tasto.

Ecco il punto. L’Associazione, a seguito della decisione di sospendere l’attività del partito per contribuire alla nascita della Margherita, aveva il compito di salvaguardare e diffondere il patrimonio ideale del popolarismo. A questo impegno Castagnetti è rimasto indubbiamente fedele. Nessuno intende sollevare obiezioni a riguardo.

Si potrebbe osservare, tuttavia, che il mandato del congresso non si estendeva a ulteriori passaggi, in particolare al superamento della stessa Margherita e alla fondazione del Partito democratico. Se ne è discusso in passato, sia pure con fastidio e un pizzico di negligenza, ma oggi non avrebbe senso riaprire i termini di un ipotetico contenzioso.

A me preme segnalare che le difficoltà riscontrate da Castagnetti, in primis il dilagare di una secolarizzazione politica che rispecchia lo stato del cattolicesimo italiano, laddove la caduta delle vocazioni alla vita consacrata agisce come fattore di rallentamento dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, deve stimolare ancor più tra di noi la ripresa di un confronto serrato sulle responsabilità dei laici tanto nel mondo ecclesiale, quanto in quello civile (e dunque politico).

Che dibattito, allora? Ritengo per parte mia che il Partito democratico non contempli adeguatamente la ricchezza della nostra visione “cristiano democratica e popolare”; ma non per questo, dinanzi alle scelte compiute e alle preferenze consolidate, è lecito che s’imponga di “mettere (o rimettere) ai voti” l’esito di una vicenda politica a dir poco complessa.

Basta semmai riconoscere che l’Associazione conserva integra la sua natura e funzione anche se – parlo per me, ma non solo per me – l’indirizzo democratico e riformatore ha trovato risposte individuali diverse, al fianco ma non dentro il Partito democratico, sempre in aderenza però alla cultura degasperiana del “centro che muove verso sinistra”. L’importante è riprendere il filo di una comune riflessione sul futuro della democrazia e sul modo di viverne, da Popolari autentici, il travaglio in corso.

Oggi si fa più acuta la preoccupazione attorno alla rinascita di una destra radicale, giunta al potere in connubio con il populismo, per cui siamo chiamati innanzi tutto a definire in tempi rapidi la forma di una nuova alleanza democratica. Forse potremmo contribuire a questa opera di ricostruzione aggiornando e affinando la nostra esperienza di cattolici democratici. E le imminenti elezioni europee e amministrative costituiscono un decisivo terreno di verifica.

Se potessimo far sentire la voce dei Popolari, unitariamente, così da mostrare quella sintonia che solo un timore infondato c’impedisce di cogliere, alla pubblica opinione e agli elettori daremmo un forte segnale di vitalità e soprattutto di responsabilità.