Ci sono temi che a volte si intrecciano e non possono essere disgiunti l’uno dall’altro. Uno di questi temi è il sempre controverso rapporto tra i popolari, i cattolici democratici, i cattolici popolari con il Partito democratico. Una sorta di “historia dolorum” che non può, com’è ovvio, essere affrontato in termini organici e dettagliati in un semplice articolo. Ma è indubbio che la presenza, il ruolo e la funzione di questa cultura politica nel Pd – per restare al campo del centro sinistra – continua ad essere al centro del dibattito politico, culturale ed anche organizzativo. Una recente iniziativa romana dell’Associazione “I Popolari” guidata da Pier Luigi Castagnetti ha riportato il tema al centro dell’attenzione politica.
Ora, però, intendiamoci per non cadere in spiacevoli equivoci. Nessuno, com’è ovvio, mette in discussione il radicato ed acquisito pluralismo politico dei cattolici italiani. E quindi, di conseguenza, nessuna abiura moralistica e grottesca verso coloro – cattolici praticanti, o simpatizzanti, o saltuari o indifferenti – che votano convintamente e responsabilmente il centro destra e, nello specifico, la Lega di Matteo Salvini. Come sarebbe altrettanto grottesco continuare a lanciare anatemi o stupirsi per le posizioni ancora recentemente espresse dal cardinale Camillo Ruini, ex presidente dei vescovi italiani. Che, e’ sempre bene non dimenticarlo, rappresenta tutt’oggi la corrente maggioritaria nella galassia articolata e frammentata dei cattolici italiani. Semmai, si tratta di far sì che gli eredi del cattolicesimo democratico, del cattolicesimo sociale e del cattolicesimo popolare trovino una reale ed autentica cittadinanza politica all’interno di uno strumento politico, cioè di un partito organizzato. Ed è proprio su questo versante che il dibattito è quantomai aperto in quest’area culturale. E, per restare allo “stato dei fatti”, come amava dire Carlo Donat-Cattin, nella politica contemporanea le possibilità concrete di far politica per questa corrente ideale nel campo del centro sinistra non sono molteplici. Se escludiamo, per ragioni facilmente comprensibili, gli ennesimi, seppur generosi, tentativi – ormai se ne contano quasi una sessantina a partire dall’esperienza di Democrazia Europea di Andreotti e D’Antoni nel lontano 2001 – di dar vita all’ennesimo partito cattolico, o dei cattolici, o di cattolici o di ispirazione cristiana che dir si voglia; se la storia dei partiti personali o del proprio club di amici – come Italia viva o Azione di Calenda – non sono così appetibili ed accoglienti per chi arriva da una tradizione politica popolare e democratica, non resta che un impegno forte e diretto all’interno del Partito democratico.
A due condizioni, però. Che sia un partito autenticamente e realmente “plurale” e non solo nelle declamazioni dello Statuto. E che, in secondo luogo, garantisca una vera cittadinanza politica e culturale nelle dinamiche interne al partito.
Due condizioni, però, che richiedono anche una iniziativa diretta dei cattolici democratici e popolari. E un soprassalto d’orgoglio. E cioè, costruire una vera unità e una altrettanto vera ricomposizione di tutta quest’area all’interno del partito. Una ricomposizione politica che superi le ridicole e un po’ tenere divisioni tra i vari leader e che favorisca, al contempo, una iniziativa politica, culturale e programmatica che può solo ridare qualità alla nostra democrazia e freschezza alla politica. Nel pieno rispetto delle sardine, dei pinguini e di altri movimenti ittici che nasceranno nelle prossime settimane. Per questi motivi la recente iniziativa di Castagnetti merita di essere ripresa ed approfondita.