Afghanistan al centro nel secondo anniversario dell’ingresso dei talebani a Kabul

Vanno valutati gli sforzi per la ricostruzione dell'Afghanistan senza per questo cambiare la nostra scala di priorità. Un dialogo su basi di reciproco rispetto è possibile e auspicabile, se l’Europa vuole rientrare in gioco nell’Asia sud occidentale.

Perché parlare di Afghanistan a Ferragosto? Perché anche nel martoriato Paese asiatico il 15 agosto non è una data come le altre. Per l’attuale governo dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan questa data costituisce il secondo anniversario dell’entrata delle forze talebane in Kabul mentre erano in corso le concitate operazioni finali di ritiro delle truppe americane. Occorre sempre guardare al futuro, anche le ferite e gli errori più grandi possono essere superati, a condizione di saperli riconoscere come tali. Il fatto che da oggi il 15 agosto sia divenuto festa nazionale in Afghanistan, se da un lato testimonia una sconfitta dell’Occidente, strategica e culturale, prim’ancora che militare, dall’altro ci dice anche di una Nazione che è alla ricerca di punti di riferimento per una stabilità agognata da quasi mezzo secolo, se si considera anche l’occupazione sovietica.

Col senno del poi, sempre troppo facile, si può vedere che la strategia di allargamento verso Est della zona di influenza occidentale per via militare nel Grande Medio Oriente, per fare da argine alle potenze emergenti dell’Asia, si è rivelata un fallimento, mentre una concreta penetrazione nelle zone del mondo considerate strategiche sta riuscendo piuttosto bene a quelle potenze che usano il credito per lo sviluppo e la realizzazione delle infrastrutture fondamentali come strumento geopolitico, al posto delle bombe.

Sulla base di ciò che è successo negli ultimi 20, credo che occorra avere uno sguardo diverso verso l’Afghanistan, come peraltro verso tutti i Paesi del Sud Globale. Non possiamo usare i nostri criteri, se vogliamo comprendere cosa sta succedendo e ritrovare i fili del dialogo. Serve un approccio realista, che, senza fare sconti su diritti umani, ruolo della donna nella società e laicità delle istituzioni, valuti gli sforzi compiuti negli ultimi 2 anni in Afghanistan per il ritorno alla normalità, dal governo che c’è, e non da quello che vorremmo ci fosse.

Il primo problema dei nuovi dirigenti afghani è stato quello di esercitare il completo controllo del territorio da parte dello stato rispetto alle varie milizie armate e a nuclei ancora significativi di terroristi “jihadisti” (il governo talebano ha vietato ai cittadini la jihad, anche se si recano all’estero, una sorta di reato universale all’afghana…) come l’Isis K della provincia di Khorasan, adiacente all’Iran, come pure rispetto al mercato del narcotraffico, particolarmente fiorente durante la presenza di truppe straniere, ma che una agenzia indipendente inglese, l’AlcisGeo, vicina ai servizi britannici, ha attestato esser crollato ben del 90% nell’ultimo anno riguardo alla coltivazione di papavero da oppio. 

Negli ultimi mesi al confine con l’Iran si sono registrati una serie di incidenti di confine, di cui il governo di Teheran ha chiesto direttamente spiegazione al governo di Kabul senza cedere alle provocazioni, anzi rafforzando la collaborazione, come testimonia il recente lancio di una nuova destinazione ferroviaria tra Afghanistan e Turchia, via Iran. Una cosa simile avviene al confine con il Pakistan, e anche in questo caso il filo diretto tra Kabul e Islamabad ha prodotto risultati importanti come l’impegno bilaterale ad assicurare alla giustizia i ricercati di un Paese nel territorio dell’altro, e soprattutto l’accordo trilaterale con la Cina ad estendere il Corridoio Economico Cino-Pakistano (Cpec) che sta trainano lo sviluppo della Valle dell’Indo, all’Afghanistan che invece è ancora all’inizio della ricostruzione, sebbene non manchino affatto segnali incoraggianti, dovuti alla relativa stabilità ritornata nel Paese.

L’opinione pubblica occidentale mantiene alta l’attenzione sul rispetto della donna. E se è innegabile che stili di vita occidentali possibili prima per le signore più abbienti, non siano più praticabili (ad es. sono stati vietati i centri di bellezza, le norme sulla copertura del volto sono molto rigide), vanno però riconosciuti dei significativi passi avanti compiuti dal governo talebano, come quelli contro i matrimoni combinati, pur nel modo consono alla cultura di quel Paese. Così, alle donne è consentito di vendere ai mercati cittanini, ma in aree a loro riservate. Da poco è stata istituita una apposita Camera di Commercio riservata alle donne. Dopo la riapertura delle università, anche le donne hanno potuto conseguire titoli di studi superiori. Uno dei centri istituti a comunicarlo è stato l’Istituto di Scienze della Salute di Jalalabad. Insomma, ci sono dei segnali buoni sia a livello sociale che a quello economico. 

Bisogna però che ci sforziamo di cambiare il nostro approccio, verso una cultura, una concreta situazione storico-sociale che è molto diversa da quella occidentale.  Instaurare un dialogo su basi di parità e di reciproco rispetto, di non ingerenza che però ha a cuore i diritti e lo sviluppo, è possibile. E probabilmente è anche il modo per non lasciare che la gran parte della ricostruzione afghana veda come principali protagonisti Cina, Turchia e Iran.