Da cinquant’anni Danièle Hervieu-Léger, direttrice di studi (“Preside di Facoltà”) alla Ècole des hautes études en sciences sociales (EHESS), scruta l’evoluzione del cattolicesimo, soprattutto occidentale. In un momento in cui il cattolicesimo francese sta vivendo un’attualità irrequieta (consultazione dei fedeli in vista del sinodo sulla sinodalità, sospensione delle ordinazioni nel Var, ecc.), la sociologa presenta una diagnosi senza concessioni sullo stato della Chiesa.
L’intervista è stata pubblicata su “Le Monde” del 28 giugno 2022. Qui viene riproposta nella traduzione apparsa su www.finesettimana.org.
Cyprien Mycinski
Secondo la sociologa Danièle Hervieu-Léger, per sopravvivere la Chiesa deve uscire dal suo sistema di autorità centralizzatrice e rimettere in discussione la sacralità del prete. “Senza dubbio la Chiesa cattolica non sfuggirà a questa lezione della Riforma protestante”, assicura la sociologa nell’intervista.
Da cinquant’anni Danièle Hervieu-Léger scruta l’evoluzione del cattolicesimo, soprattutto occidentale. Direttrice di studi (“Preside di Facoltà”) alla Ècole des hautes études en sciences sociales (EHESS), pubblica con il sociologo Jean-Louis Schlegel Vers l’implosion? Entretiens sur le présent et l’avenir du catholicisme (ed. Seuil – “Verso l’implosione? – Colloqui sul presente e sul futuro del cattolicesimo”) e un libro più personale sul suo percorso, Religion, utopie et mémoire (ed. de l’EHESS – Religione, utopia e memoria) sotto la forma di un’intervista con lo storico Pierre-Antoine Fabre. In un momento in cui il cattolicesimo francese sta vivendo un’attualità irrequieta (consultazione dei fedeli in vista del sinodo sulla sinodalità, sospensione delle ordinazioni nel Var, ecc.), la sociologa presenta una diagnosi senza concessioni sullo stato della Chiesa.
Alcuni mesi fa, il rapporto della commissione Sauvé ha rivelato l’ampiezza delle aggressioni sessuali nella Chiesa cattolica francese. Secondo lei, che cosa significa questa crisi?
Questa crisi è gravissima per la Chiesa. Non testimonia l’esistenza di problemi temporanei che si potrebbero risolvere; rivela un fallimento generale del sistema romano. La specificità di questa crisi infatti è che essa mette in luce la deriva di un sistema di potere nella Chiesa. Per questo è stato sottolineato il carattere “sistemico” degli abusi, che non possono essere ridotti agli errori di alcuni individui.
La Chiesa cattolica, almeno dal Concilio di Trento (1354-1563) si è costruita sulla sacralizzazione della figura del prete. Il prete ha uno status distinto dai fedeli, appartiene ad uno stato superiore. Questa separazione dai battezzati comuni coinvolge il corpo del prete, attraverso il celibato, a cui è tenuto a partire dalla riforma gregoriana (1073-1085) e che fa di lui un essere “a parte”.
La funzione sacerdotale, nella Chiesa cattolica, non è quindi fondata innanzitutto sulla capacità di un uomo a rispondere ai bisogni spirituali di una comunità di credenti. Manifesta l’elezione divina del prete, il che lo pone al di sopra della comunità e gli dà un potere gigantesco. Il prete è il mediatore privilegiato, se non unico, della relazione dei fedeli cattolici con il divino: Cristo è presente nei gesti sacramentali posti dal prete.
Bisogna comprendere che la sacralizzazione del prete limita considerevolmente la possibilità di opporsi ad un abuso che lui commette. Come ci si può ribellare ad un tale atto, come ci si può percepire come vittima quando l’aggressore rivendica un rapporto con il potere divino? Gli abusi sessuali, in questo contesto, sono quindi sempre anche abusi spirituali e abusi di potere.
A ciò si aggiunge la “cultura del segreto”, molto presente nella Chiesa cattolica. L’istituzione ha l’abitudine di lavare i panni sporchi in famiglia e vuole regolare tutto al suo interno: il problema è che lo fa quando si trova di fronte agli errori commessi dai suoi membri, ma anche quando questi ultimi si rendono colpevoli di reati… La crisi è quindi di un’estrema profondità. Di fronte a questo, il riconoscimento delle aggressioni e la loro riparazione sono fondamentali, e la Chiesa vi si è impegnata. Tuttavia non sarà sufficiente: secondo me, questa crisi necessita di andare molto oltre. La Chiesa cattolica deve accettare di trasformarsi radicalmente.
Secondo lei, come deve cambiare la Chiesa?
Depurando la relazione tra il fedele e il prete della sua dimensione sacrale. I fedeli hanno certo bisogno di responsabili capaci di organizzare le comunità, ma nessun carattere sacro dovrebbe essere associato alla persona del ministro del culto. Da questo punto di vista, ordinare uomini sposati o dare alle donne accesso al presbiterato non sarebbe solo un progesso: cessare di fare del presbiterato uno stato a parte significherebbe una ridefinizione completa della concezione stessa della responsabilità ministeriale.
Non sarebbe una forma di “protestantizzazione” del cattolicesimo?
Sì, ma la Chiesa cattolica non sfuggirà certo a questa lezione della Riforma protestante. Quest’ultima, tra le altre cose, ha escluso ogni separazione sacrale dei ministri del culto. Non ha mai fatto del pastore un essere superiore ai fedeli ordinari. La sua autorità gli viene dalla sua competenza teologica e dalla fiducia che gli riservano i fedeli.
Se la Chiesa romana dà un contenuto concreto al suo riconoscimento della piena uguaglianza di tutti i battezzati, come all’uguaglianza dei sessi, essa dovrà in un modo o in un altro evolvere in questo senso. È la condizione perché la definizione di Chiesa come popolo dei battezzati prenda realmente corpo e abbia senso in società democratiche in cui la parità è diventata un’esigenza collettiva.
Sarebbe una trasformazione radicale… Le sembra immaginabile in un futuro prossimo?
La sociologia non si muove nell’ambito delle previsioni e non mi azzardo a fare pronostici. Per valutare le evoluzioni possibili, bisogna prima considerare i rapporti di forza interni alla Chiesa cattolica. È evidente che delle correnti molto potenti all’interno della Chiesa non auspicano tale trasformazione. Coloro che vengono chiamati “tradì”, cioè tradizionalisti, sembra che spingano per pesare attivamente a favore del rafforzamento del sistema esistente. La loro convinzione è che l’organizzazione e il funzionamento dell’istituzione manifestano di per se stessi la continuità del “cristianesimo di sempre”, incarnato dalla Chiesa romana immaginata immutabile. È un’illusione evidentemente, dato che la Chiesa, come ogni istituzione storica, è continuamente cambiata nel corso dei secoli.
La forma attuale, organizzata con il Concilio di Trento, si è strutturata nel XIX secolo dando un’enfasi straordinaria alla figura del prete. Viviamo in un mondo instabile e mutevole e, di fronte alle incertezze, desideriamo aggrapparci a cose che non cambiano. I tradizionalisti ritengono che la immaginata immutabilità del sistema romano rifletta l’eternità della Chiesa. È certamente rassicurante, ma è falso.
Nella Chiesa di oggi, questa corrente ha una base solida e un’ala militante e organizzata per la quale la difesa dell’ordine cattolico è una questione politica.
Ha saputo rendersi molto visibile, ed è quella che sostiene nella maniera più attiva l’opposizione ai tentativi di riforma avviati da papa Francesco. Comunque, anche se i tradizionalisti sono una forza molto presente nella Chiesa, non bisogna pensare che siano la sola corrente presente al suo interno. Molti cattolici auspicano che la Chiesa evolva in profondità.
La mancanza di preti nei paesi europei è oggi molto evidente… Come pensano di affrontare questo problema i tradizionalisti?
Effettivamente in Europa ci sono sempre meno preti e la speranza di un rinnovamento massiccio delle vocazioni è frutto di immaginazione. Questa carenza potrebbe costituire un principio di realtà che obblighi l’istituzione a fare dei cambiamenti. Se non ci sono più candidati al presbiterato, alla lunga non rimane più gran che, né della figura sacra del prete, né della forma parrocchiale di socialità cattolica che lui presiede. Le istituzioni di formazione di preti (Comunità Saint-Martin o Buon Pastore, ecc.), di cui si evidenziano i metodi di reclutamento e di formazione, seducono i cattolici conservatori, ma sono ben lungi dal rispondere alla penuria che si aggrava.
Di fronte alla mancanza di preti, i cattolici sono un po’ persi e vivono una situazione tanto più fragile in quanto l’auto-organizzazione comunitaria non è per loro spontanea. Dato che tutto spetta al prete in materia di celebrazione, i fedeli non hanno imparato ad organizzarsi da soli a livello
locale, né a scegliersi dei responsabili di comunità. Vista l’evoluzione della demografia clericale, bisognerà però che comincino ad abituarsi a farlo molto in fretta…
Da questo punto di vista, si nota che, durante la pandemia di Covid 19, la sospensione obbligata della vita culturale in parrocchia ha potuto avere un ruolo acceleratore di questa auto-organizzazione. Si sono formate piccole fraternità che riuniscono alcuni individui o alcune famiglie, su scala molto locale, per condividere la loro fede in maniera autonoma. È una forma di socialità cattolica di nuovo genere che potrebbe svilupparsi nei prossimi anni.
Lei ha parlato regolarmente di correnti dagli orientamenti molto diversi nella Chiesa cattolica: le sembra possibile farle coesistere all’interno di uno stesso insieme?
In effetti esiste una grande diversità nella Chiesa: per prendere in considerazione il caso francese e opponendo in maniera un po’ grossolana gli “identitari” ai “cattolici aperti”, diciamo che chi appartiene all’Opus Dei non ha probabilmente nulla da dire a chi fa parte della Conférence catholique des baptisé.e.s francophones… Per il momento, tutti fanno riferimento più o meno formalmente a Roma, il che preserva l’unità. Ma questo non potrebbe durare. Per evitare l’esplosione incontrollata dell’insieme, bisognerebbe che emergessero modi di regolazione che preservino l’autonomia delle comunità.
Guardiamo la situazione dei protestanti francesi: ci sono differenze e anche forti contraddizioni tra luterani, riformati ed evangelicali. Eppure, pur abitando la loro religione in maniera molto diversa, queste correnti si riconoscono reciprocamente all’interno di una organizzazione federativa che assicura una comunione senza impedire la diversità.
Il sistema romano fa sì che la Chiesa misuri la sua unità sulla base della sua uniformità dottrinale e organizzativa. Per molto tempo questa visione dell’unità si è incarnata in una civiltà parrocchiale almeno formalmente omogenea. Come sappiamo, quest’ultima sta scomparendo. La socialità cattolica si sposta oggi dal lato dei raggruppamenti affinitari e mobili, sempre più estranei all’inquadramento territoriale della parrocchia. Il cattolicesimo di domani, secondo me, sarà un cattolicesimo “diasporico” o non sarà.
Lei ha parlato dei tentativi di riforma di papa Francesco. Le sembra che lui sia in grado di far evolvere la Chiesa?
Papa Francesco è un vecchio signore di 85 anni che non può far muovere la Chiesa universale da solo. Si vedono in ogni caso i limiti della sua azione. Procede spesso parlando di evoluzioni che suscitano delle ostilità, il che lo obbliga a far marcia indietro o almeno a non cambiare nulla. È stato molto chiaro al momento del sinodo sull’Amazzonia del 2020. La grave mancanza di preti in quella regione ha portato i vescovi a proporre la possibilità di ordinare degli uomini sposati, e Francesco sembrava aperto a quell’idea. Ma, alla fine, non c’è stato nessun passo avanti.
Come spiega che si sia mostrato così timoroso?
La paura dello scisma ossessiona la Chiesa cattolica. Dalla grande rottura della Riforma, questo timore domina l’azione dei pontefici romani, e lo scismo lefebvriano al momento del Vaticano II lo ha notevolmente riattivato. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno attivamente cercato, con una politica di compromesso, di riassorbire la dissidenza integrista. Ma anche se Francesco sembra deciso a non lasciare che i tradizionalisti mettano in discussione l’eredità del Vaticano II, anche se è persuaso dell’urgenza di far evolvere la Chiesa e di abbattere il sistema clericale che è diventato il suo principale veleno, tuttavia continua ad essere paralizzato all’idea di spaccare la Chiesa cattolica in due. Allo stesso tempo sembra che stia ripiegando su una strategia dei piccoli passi.
Questo è molto evidente a proposito del posto delle donne nella Chiesa. Apre loro l’accesso a responsabilità istituzionali elevate in Curia, ma sa perfettamente che, se desse loro accesso al pieno esercizio di funzioni sacramentali, la Chiesa esploderebbe. Si limita quindi a piccole riforme, ufficializzando per esempio il fatto che possano partecipare alla celebrazione del culto come lettrici o come accolite, o insistendo sul fatto che anche le bambine possano essere chierichette come i maschi. Visto da lontano, questo può sembrare qualcosa di estremamente modesto. In realtà, è più importante di quanto sembri. Significa infatti che le donne possono entrare nel presbiterio, cioè nel luogo più sacro della Chiesa, il luogo della celebrazione eucaristica. Significa quindi che il corpo delle donne non è inadatto al sacro.
In una società come la nostra, si potrebbe dire che è una ovvietà, ma alcuni vi vedono una minaccia e vi si oppongono più che possono.Il gesto di Francesco, per quanto limitato, apre una breccia. Il cammino che resta per una uguaglianza effettiva tra uomini e donne nella Chiesa sarà lungo.
Francesco difende anche regolarmente il Concilio Vaticano II di fronte a dei conservatori che non l’hanno mai completamente accettato. Non è anche questo un modo per far evolvere la Chiesa?
È molto importante, ma, al contempo, la difesa dell’eredità del Vaticano II (1962-1965) non può bastare, oggi, per assicurare la riforma radicale del sistema romano. Perché il Vaticano II è, da un certo punto di vista, arrivato troppo tardi. L’aggiornamento della Chiesa romana è avvenuto proprio nel momento della rivoluzione culturale degli anni ‘60 del 900. Il Vaticano II è stato immediatamente percosso dalla grande svolta culturale che le società moderne hanno vissuto in quello stesso periodo.
La risposta della Chiesa alla formidabile rivoluzione introdotta dall’accesso delle donne alla possibilità di gestione della loro fecondità è stata la riproposizione del discorso del proibito e della norma: l’enciclica Humanae Vitae (1968), che proibisce la contraccezione, ha avuto conseguenze drammatiche per la credibilità dell’istituzione.
Il secondo grande limite del Vaticano II riguarda le sue ambiguità fondamentali che non sono mai state superate, sempre per paura dello scisma. Prendiamo l’esempio della nozione di Chiesa come “popolo di Dio”. Che cosa significa?
Per alcuni, implica l’apertura ad una concezione più “democratica” del governare l’insieme dei battezzati. Per altri, i fedeli devono sempre essere pilotati da preti. Le conclusioni del Vaticano II, su molti punti, restano quindi molto vaghe. Nella Chiesa, alcuni vogliono interpretarle a minima, altri vogliono al contrario andare fino in fondo alla dinamica di adattamento alla modernità iniziata dal concilio. Ma non è stato definito nulla. Resta il fatto che è una acquisizione del Concilio Vaticano II, rivitalizzata da papa Francesco, e che potrebbe permettere di smuovere la Chiesa: la pratica sinodale.
Perché il sinodo potrebbe contribuire a far evolvere la Chiesa cattolica?
Il sinodo – o diciamo per maggiore chiarezza il principio di una organizzazione sinodale della Chiesa – consiste nel dare ai fedeli il diritto di esprimersi sul suo funzionamento, o anche di partecipare al goveno della Chiesa. Francesco ha rilanciato questo processo nel 2021. Nel corso di questi ultimi mesi, i cattolici di tutto il mondo si sono riuniti in piccoli gruppi per riflettere insieme e trasmettere le loro aspirazioni sulle evoluzioni della Chiesa. Tra loro, molti chiedono trasformazioni profonde, sullo status dei preti, sul posto delle donne, ecc.
Delle sintesi sono già state fatte su scala diocesana, poi su scala nazionale. La prossima tappa avrà luogo a Roma, dove il papa prenderà conoscenza del contenuto di queste sintesi provenienti da tutto il mondo. Ormai, la questione è sapere ciò che si farà di tutte quelle lamentele e di tutte quelle proposte. Forse saranno subito sotterrate per tornare al business as usual come se nulla fosse. Ma forse si prenderanno in considerazioni le attese dei fedeli. In questo caso, il sinodo potrebbe indurre una forma di democratizzazione della Chiesa cattolica. Sarebbe tutt’altro che banale!