Il centrismo di Gelmini e Carfagna adombra il modello Forza Italia

Sparare un titolo ambizioso - “Cattolici riformisti e popolari: la politica non è peccato” - non basta. Il convegno di Azione, tenuto ieri a Salerno, fa del popolarismo un amuleto post berlusconiano.

L’ambizione dichiarata è proporre al Paese soluzioni concrete e praticabili, con la premessa rappresentata da un’opzione di tipo neo centrista e cattolico popolare. A farsene paladina è stata ieri Mariastella Gelmini, senatrice e portavoce di Azione, a margine di un evento di partito svoltosi a Salerno. Dello stesso tenore anche il discorso di Mara Carfagna, presidente di Azione.

“Siamo per una politica che vada oltre il bipolarismo”, quello che “finora ha ostacolato riforme e investimenti”, ha detto la Gelmini. “Azione è la sintesi di culture politiche diverse e presto presenteremo un Manifesto che abbia al centro i valori del popolarismo: la centralità della persona, l`europeismo, l`atlantismo, la sussidiarietà, il valore della formazione, l`importanza del dialogo con i corpi intermedi”.

A seguire anche Mara Carfagna ha voluto rimarcare l’impegno del partito in questo “processo aggregativo per la costruzione di una realtà che riporti all`esperienza del Terzo Polo”. L’obiettivo è unire – ha precisato –  “le diverse culture e sensibilità politiche che si ispirano al popolarismo, al liberalismo, al riformismo e creare una grande area che possa parlare con il linguaggio della verità, della serietà, della competenza”. Quindi – ha concluso –  è fondamentale che tale area politica “possa fare della responsabilità, della serietà e della concretezza le sue parole d`ordine”.

Siamo di fronte a una proposta senza basi culturali chiare, quasi nel solco, potremmo dire, di un pallido ritorno al berlusconismo. C’è l’imitazione di un modello, intriso di leaderismo, scambiando Calenda per il Cavaliere. A prevalere è un misto di generosità e provocazione. In effetti, come tutti sanno, è al centro che si gioca la partita. E ora  Gelmini e Carfagna ne vogliono interpretare la valenza puntando sui valori popolari, perché il centro senza i popolari patisce fatalmente l’inclinazione al pragmatismo o all’efficientismo, perdendo la sua anima sociale.

Tuttavia, appoggiarsi come che sia a una storia politica gloriosa – quella del popolarismo risalente a Sturzo – evidenzia il carattere maldestro dell’operazione. Viene da osservare che il popolarismo rischia di trasformarsi in un amuleto del post berlusconismo. Basterebbe solo chiedersi quanto valga l’appello alla mobilitazione dei popolari, se i diversi attori e interlocutori che occupano la scena poco o nulla hanno a che vedere con l’esperienza del Partito popolare di Martinazzoli, Marini e Bianco.

E Azione, erede anche nel nome dell’azionismo, può rispecchiare credibilmente il processo di ricomposizione del substrato dirigente del “sospeso” Ppi? E Calenda parla ai cattolici quando si butta a precipizio sulla candidatura di Cappato a Monza? E cosa contano i moderati e i centristi in un partito che sul salario minimo ignora le obiezioni sollevate da Bonanni, ex segretario generale della Cisl e da tempo a pieno servizio nell’esecutivo di Azione? E dove possono andare Rosato e la Bonetti, “assunti” come fiancheggiatori di una linea anti-renziana e perciò inadatti a contribuire all’opera di ricucitura, difficile ma necessaria, del cosiddetto Terzo Polo?

Queste sono le domande, non tutte per altro, che pesano come macigni sui progetti o meglio i desideri di Gelmini e Carfagna.