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mercoledì, 22 Ottobre, 2025
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Il centro artificiale conferma i limiti strutturali del campo largo

Bettini, Renzi, Onorato: resta più che debole la rincorsa al centro dentro un blocco di sinistra che resta incardinata sull’asse Schlein, Conte, Fratoianni e Landini.

Dunque, riepiloghiamo. Goffredo Bettini, storico e qualificato dirigente ex comunista e da molto tempo leader del Pd, sta lentamente costruendo e definendo la “gamba moderata” del campo largo.

Un’operazione pianificata da tempo a tavolino che chiama a raccolta di volta in volta tutti coloro che, dal Pd, vogliono distaccarsi per ricreare un polo centrista sempre all’interno dell’alleanza di sinistra e progressista.

Sì, si tratta di un’iniziativa un po’ curiosa e singolare ma è inutile ridicolizzarla, perché di questo, appunto, si tratta.

Un mosaico di sigle e ambizioni

Ora, al di là delle buone intenzioni e dell’eterna prassi comunista, e di matrice gramsciana, di costruire coalizioni e alleanze che ruotano sempre e solo attorno al sole che risplende il tutto – cioè il partito principale che ieri l’altro era il Pci, ieri il Pds/Ds e oggi il Pd – i numeri di queste neo-operazioni centriste restano un po’ ballerini.

E questo perché ce ne sono ormai parecchi, di numeri.

L’ultimo partito di Renzi, “Casa Riformista”, che sino ad oggi si è nascosto nelle “liste del presidente” delle singole Regioni, punta ad avere il 10% dei consensi. Bene.

Il neo movimento civico dell’assessore romano Onorato, fatto da amministratori locali di area Pd – e anch’esso “benedetto” da Bettini e, almeno stando alle ultime notizie, forse anche dal capo del partito populista dei 5 Stelle, Conte – punta ad un altro 10%. Bene.

A questo si aggiunge il futuro movimento dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini, e vedremo quale sarà la percentuale elettorale che indica. Bene.

A questi si deve ancora aggiungere tutta l’area centrista e riformista del Pd che si sta riorganizzando – ma questa volta direttamente nel Pd – per incrementare ulteriormente il consenso proveniente dall’area moderata e centrista. Bene.

In attesa di altri movimenti e partiti che si formeranno man mano e sempre sotto il severo e quotidiano controllo di Goffredo Bettini.

Insomma, siamo già quasi al 30% dei consensi, se non addirittura oltre. Vedremo.

Dentro il perimetro del campo largo

Alla luce di queste considerazioni, peraltro oggettive e che fotografano le intenzioni e la volontà dei vari attori in campo, ci sono però due valutazioni politiche che non si possono non fare.

Innanzitutto, tutto questo mondo centrista e riformista saldamente inserito nell’alleanza di sinistra e progressista è – e senza fare alcun processo alle intenzioni – un semplice spostamento di consensi e di forze che avviene rigorosamente e quasi scientificamente all’interno del cosiddetto campo largo.

E la conferma plateale di questa semplice e persino banale riflessione arriva dalle concrete presenze che partecipano a questi incontri o meeting promossi da esponenti del Pd o del tutto riconducibili al Pd.

L’egemonia delle quattro sinistre

In secondo luogo, ed è questo l’elemento più importante, non si può prescindere dal vero dato politico.

E cioè: l’attuale campo largo, o alleanza di sinistra e progressista che dir si voglia, è saldamente ed organicamente egemonizzato da quattro attori decisivi, a livello politico, culturale, programmatico e mediatico.

Vale a dire:

– la sinistra radicale e massimalista del Pd di Elly Schlein,

– la sinistra demagogica e populista dei 5 Stelle di Giuseppe Conte,

– la sinistra estremista e ideologica del trio Fratoianni–Bonelli–Salis,

– e infine la sinistra pan-sindacale dello storico “sindacato rosso”, la Cgil oggi guidata dall’oltranzista Landini.

Queste sono le forze reali, e non virtuali, che dettano oggi l’agenda politica e programmatica del campo largo.

Un centro con diritto di tribuna

Tutto il resto, al di là dei numeri e dei consensi annunciati carnevalescamente dai vari Onorato, Renzi, Ruffini e via discorrendo, ha certamente uno spazio nell’alleanza progressista.

Si chiama “diritto di tribuna”.

Cioè, tradotto per i non addetti ai lavori: una manciata di seggi parlamentari per confermare la natura plurale della coalizione. Nulla di più e nulla di meno.

Per queste ragioni, semplici ma essenziali, le porte girevoli non sono mai state determinanti nella politica.

Ieri come oggi, passare da un partito all’altro ma sempre nell’ambito della stessa coalizione non è destinato a cambiare la politica.

Rientra, molto più semplicemente, nelle dinamiche dei noti, straconosciuti ed eterni organigrammi di potere