“Il centro? Con Calenda”. Intervista a Tarolli, coordinatore di Piattaforma Popolare.

“L’Italia di De Gasperi, oggi fatta segno di lusinghiere analisi storiografiche, è anche l’Italia di Einaudi”. È qui riassunto il messaggio che Ivo Tarolli intende veicolare. Anche oltre il 9 giugno.

La campagna elettorale è in pieno svolgimento. Come si dice in gergo, rullano i tamburi: tutti meno quelli dell’area cattolica, ancora troppo divisa. Dopo tante attese e tanti appelli, la lista unitaria dei “popolari” non ha preso forma. Ciò nondimeno Piattaforma Popolare, che la vede da anni protagonista, ha deciso di stare in campo inserendosi nel cartello organizzato da Calenda. Qual è stata la ragione?

Trovo singolare che alle parole non abbia fatto seguito tra i nostri amici e interlocutori una coerente determinazione pratica. Il seme va gettato a terra, non si può rinviare in eterno l’appuntamento con le urne. Né si può invocare la  formazione di un “nuovo centro” e poi scartare, all’occorrenza, ogni ipotesi ricostruttiva. Per questo Piattaforma Popolare ha rotto gli indugi e ha scelto, dopo ampio confronto con Calenda, di collaborare alla formazione di una lista di orientamento liberal-popolare. Una lista, aggiungo, fortemente europeista.

Cosa intende per liberal-popolare? È una dizione alquanto originale, di solito si preferisce usare quella di cattolici democratici o, appunto, di cattolici popolari.

È stato P. Bartolomeo Sorge, interessato all’apice della sua fatica di studioso e testimone alla rivitalizzazione del popolarismo sturziano, a proporre questa congiunzione che nel suo pensiero esaltava la radice antica di una proposta riformatrice aggiornata, specie alla luce del fallimento storico del marxismo inteso come ideologia e come prassi. A me pare un riassunto felice e un’implicita sollecitazione per chi voglia lavorare nel solco del cattolicesimo politico, scommettendo sulla rinascita di una collaborazione, su basi di pari dignità, tra le culture riformatrici del Novecento più affini per sensibilità ed esperienza. L’Italia di De Gasperi, oggi fatta segno di lusinghiere analisi storiografiche, è anche l’Italia di Einaudi. 

Non è un richiamo troppo ambizioso? Mentre parliamo di Einaudi e De Gasperi, al governo abbiamo Meloni e Salvini (e all’opposizione Elly Schlein). Gli elettori sembrano ancora attratti dalle opzioni che si nutrono di radicalità. Lo spazio “al centro” non è poi così ampio…

Ma è uno spazio decisivo, sicuramente destinato a crescere, se non altro per l’esaurimento delle illusioni veicolate dal bipolarismo. In effetti, il perenne braccio di ferro tra destra e sinistra ha logorato il tessuto civile del Paese. E allora, non è giunto il momento di prenderne atto?  Del resto, malgrado le promesse o le minacce della destra, in Europa non ci saranno alternative all’accordo tra popolari socialisti e liberali. E questo rappresenta la figura del “grande centro” che fatalmente si riproietta sullo schermo della politica italiana. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Dopo anni di navigazione a vista, possiamo prendere il largo con la fiducia nella bontà di una strategia fondata sul dialogo e la collaborazione tra cristiano-popolari e laico-democratici.    

È una prospettiva, dunque, che obbliga a considerare stabile l’accordo con Azione? O dopo il voto, alla stregua di quanto annunciato dalla Bonino per il futuro della sua “lista di scopo”, ognuno riprenderà a muoversi liberamente e in solitudine? 

Uno dei motivi per i quali la lista di Bonino e Renzi (Stati Uniti d’Europa) non ci ha convinto sta proprio in questa provvisorietà – l’immediato al posto della lenteur elogiata da Milan Kundera – che pervade lo stadio finale del radicalismo. Noi crediamo viceversa in un disegno per tappe e vogliamo andare avanti, ben sapendo che l’iniziativa elettorale esige un “motore politico” in piena efficienza, se così possiamo dire. Ecco, mi piace ripeterlo: con Calenda abbiamo un’intesa stimolante e suggestiva che poggia sulla necessaria rivisitazione del riformismo democratico. Se il responso delle urne darà fiato a questa operazione, ci dovremo sobbarcare la fatica di andare ben al di là della semplice e pur significativa impresa elettorale. Senza idee e senza passione non si edifica un avvenire migliore. E nemmeno lo si edifica a prescindere da uno sforzo di memoria, perché tutto, dalla pace alla giustizia, nonché all’autentico progresso, esige virtualmente un metabolismo di pensieri lunghi. 

In conclusione, è ottimista sulle elezioni europee?

Abbastanza. Naturalmente non si raggiunge la meta con un passo solo. Il 9 giugno sarà uno spartiacque, ma dopo, in ogni caso, avremo il compito di affrontare la sfida che ci attende a prescindere dall’umore individuale o collettivo. Una sfida capace di rimettere in funzione un vero, grande baricentro della politica italiana.