Nei giorni scorsi, visto anche l’esito delle europee, Ettore Bonalberti aveva lanciato un nuovo appello alla riaggregazione delle forze di centro. Qui pubblichiamo la risposta del nostro direttore.
Caro Ettore,
ci troviamo d’accordo, non ci sono obiezioni sostanziali ai tuoi richiami. Se aggiungo qualcosa è per amore di dibattito. Più ci confrontiamo, con fiducia e pazienza, più rendiamo serio il percorso di riattualizzazione dell’esperienza democratica di matrice cristiana.
In Italia serve un nuovo centro. Finalmente, dinanzi alle pericolose incongruenze dell’alleanza gialloverde, trova riscontro il genuino significato della formula a noi cara: il centro che guarda a sinistra (o cammina verso sinistra, come precisava De Gasperi). Il che significa la propensione, come direttiva morale e politica, a collocare il cattolicesimo popolare fuori dal perimetro del conservatorismo, quindi ancor più, in questa fase tormentata della vita nazionale, fuori dalla morsa di populismo e sovranismo.
Non è un guadagno da poco, considerato il fatto che ancora alla vigilia di questa campagna elettorale serpeggiava l’ambizione di allestire alla bell’è meglio una proposta di stampo neo-centrista; una proposta tuttavia che appariva lontana dalla realtà, senza un orientamento percepibile a riguardo degli interlocutori da privilegiare e gli avversari, viceversa, da combattere con maggiore urgenza e determinazione. In pratica, un angusto tentativo di autopromozione.
Chi vi ha creduto, seguendo suggestioni inevitabilmente fragili, è affogato nello stagno di percentuali elettorali sconfortanti. In mancanza di propositi coerenti, forti di un legame autentico con la nostra vocazione riformatrice, si rischia il naufragio preventivo. Non possiamo evocare la cultura democristiana, fondativa per altro del migliore europeismo, con la presunzione di acquisire l’automatica speranza di riaccreditamento presso ampie fasce di elettorato, in quell’amalgama privo di rappresentanza di ceti popolari e ceti medi.
Il centro può rinascere solo in virtù di una riscossa ideale. Non si discute la volontà di salvaguardare – per esso e con esso – il principio di autonomia, con ciò volendo sfuggire al cappio della subalternità. Sicché la questione di come si debba vivere il rapporto con il Pd – unica forza organizzata, allo stato degli atti, nel campo dell’opposizione – esige un approccio rigoroso. Bisogna evitare lo schematismo, derivante dal presupposto ingenuo o capzioso, che una deriva a sinistra del nostro principale interlocutore apporti un vantaggio nel posizionamento dei Popolari al centro.
A mio avviso, dovremmo avere lo scrupolo di sollecitare l’attenzione anche del Pd verso l’area intermedia dell’elettorato, dove sappiamo che s’addensa, per così dire, lo strato gelatinoso di un popolo ostile tanto alla radicalizzazione quanto al pressappochismo. In altre parole, alla irresoonsabilità. Anche il Pd, nel suo insieme, ha il dovere di misurarsi con tale istanza di equilibrio e discernimento. Ha poco senso la ciclica scommessa su possibili scissioni. È più conveniente che Renzi e Calenda assolvano alla loro missione dall’interno, così da frenare e correggere le spinte che vanno in direzione di un populismo sussiegoso, ordinato secondo un canone di sinistra, tendenzialmente cedevole all’ipotesi di alleanza con il M5S.
Sotto questo aspetto, l’autonomia dei Popolari consiste nel dare vigore e compiutezza al riordino in senso degasperiano del “centro progressista”, punto di irradiazione della politica riformatrice e di stabilizzazione della dialettica democratica. Per questo occorre un duplice sforzo: da un lato, a garanzia di un’ampia e feconda partecipazione, senza strumentali pregiudiziali o discriminazioni; dall’altro, a sostegno della rigenerazione di “formule ideali” destinate a vivificare un programma di risanamento e sviluppo del Paese, a partire dalla battaglia per la riduzione del debito pubblico.
Insomma, nessuno sia impedito e nessuno sia costretto: insieme, con chiarezza di obiettivi, sperimentiamo i termini di un nuovo approccio condiviso. Ce la possiamo fare, a patto che si abbia lo slancio giusto laddove, a partire dalle comunità locali, le circostanze consiglino di investire sulla formazione di una nuova leva di nuovi Popolari.