L’intervista di Guido Bodrato a questo giornale non può certo lasciare indifferenti. Sia per l’autorevolezza morale e politica di chi l’ha rilasciata, sia per la lucida coerenza interna del messaggio che contiene.
Vi è – nel sottofondo – una architettura di pensiero che non nasconde le contraddizioni e i passi falsi degli ultimi due decenni e non disconosce le radicali novità di questo nostro tempo. Essa è basata su una idea chiara di ciò che necessariamente devono essere, in ogni fase storica, il “senso” del cattolicesimo democratico, la sua vocazione, la sua missione.
Bodrato ci ricorda che il cattolicesimo democratico non può che essere al servizio di una visione aperta, solidale e progressiva della democrazia. Riecheggiano le parole del giovane Aldo Moro: “Lo Stato è – nella sua essenza – il divenire della società nella storia, secondo il suo ideale di giustizia”.
Deriva da questa radice profonda il “posizionamento politico” dei cattolici democratici, che Alcide Degasperi ben riassunse nell’espressione del “centro che guarda a sinistra” e pone un confine invalicabile a destra.
Durante tutta la lunga vicenda della DC, i cattolici democratici italiani hanno trovato in questo partito la loro casa ed hanno concorso in modo determinante, assieme ad altri filoni culturali affini, a dare vita e forza al Centro Politico della Nazione.
Ne sono conseguite la ricostruzione democratica, sociale ed economica del Paese, attraverso una stagione straordinaria di riformismo a tutti i livelli e l’opzione atlantica ed europeista.
Avere piena consapevolezza, oggi, di questa storia dà la cifra del messaggio di Guido Bodrato: il “Centro” non è una astratta costruzione di natura “topografica”. E, dunque, la sua rigenerazione non può essere né frutto di improbabili nostalgie né il portato di convenzioni di tipo tattico.
Deve corrispondere ad una nuova progettazione sociale e politica, coerente con i valori di fondo e con il posizionamento ideale prima ricordato e finalizzata a dare risposte alle impellenti, drammatiche necessità della democrazia italiana ed europea.
Bodrato analizza, da questa angolatura, le contraddizioni e i limiti della fase “post DC” in Italia (oltre che la deriva subita dal PPE a livello europeo). Lo fa senza anatemi ma con il doveroso atteggiamento di chi sa bene che la storia non si fa con i “se” e con i “ma” postumi.
Si fa piuttosto con la faticosa e paziente opera di riflessione e di costante ripartenza dai dati di fatto.
È un dato di fatto che il PD non può, da solo, dare rappresentanza a tutta la domanda politica potenzialmente alternativa alla destra. È inoltre un dato di fatto che oggi, all’appello delle presenze per l’alternativa democratica, manca una voce: quella di un “centro” inteso come lo ha descritto Bodrato. Con i suoi valori, il suo sguardo degasperiano a sinistra, con il suo confine a destra.
E sopratutto, con la sua vocazione a costruire inclusione sociale e democratica e con la sua opzione europeista. Inutile e fuori luogo pretendere che sia il PD – i suoi dirigenti o i suoi Padri Fondatori – a colmare questo vuoto o a “tenere a battesimo” una nuova formazione politica così fatta. Essi hanno un compito importante – che riguarda tutti – nella loro parte del campo di battaglia. E neppure spetta a loro definire il profilo identitario del “partito” che non c’è.
Tutto questo è compito di chi crede in questo progetto. Di chi crede che esso sia utile alla democrazia italiana. Di chi è disposto ad un lungo cammino, tutto in salita, senza ambiguità e senza scorciatoie. Ci sono in giro tanti fermenti e tante iniziative in questo senso.
Affinché tutto ciò diventi progetto politico, serve tempo, costanza, determinazione. Serve mettere a fattor comune le singole esperienze, con generosità e reciproca esigente disponibilità. Vale la pena di provarci, senza ansie da prestazione, con la consapevolezza che questo progetto richiede tempo, formazione, elaborazione di nuove idee e di nuovi linguaggi, nuova classe dirigente.