Perché sentiamo il problema e l’urgenza di definire ‘chi siamo’? Questa domanda mi ronza in testa da circa un anno. Più che sulle risposte (‘cattolici democratici’, ‘popolari’, ‘politici di ispirazione cristiana’…) mi sono soffermato sulla domanda e soprattutto sulla sua origine. Il dilemma dell’identità oggi non è infatti una questione solo teoretica e metafisica, ma nasce per noi dalla situazione concreta in cui ci troviamo in questi mesi, o anche in questo secolo.
In ambito politico, cioè sul terreno dello scontro fra orientamenti e opzioni pratiche di azione, dire chi si è equivale a chiarire chi non si è. In questi ultimi mesi ciò sembra diventato più urgente di prima.

Tutti i partiti sono cambiati, hanno acquistato nuovi caratteri perdendone altri; due partiti (Azione e IV) sono nati dovendo definire (o anche inventare) identità autonome dal PD, oltre che l’una dall’altra; l’identità forte di ‘italiani’, ‘popolo’ unito, omogeneo e sovrano, e anche di ‘cristiani’, è stata evocata ed usata come corpo contundente contro il ‘politicamente corretto’, di fatto contro gli avversari politici.

Il problema del ‘dire chi siamo’ oggi ha insomma come prima implicazione pratica chiarire cosa ci distingue sia da una generica posizione non-estremista e moderata (Renzi, Calenda, Bonino, ma anche PD, o FI), sia da chi strumentalmente si dichiara cristiano (Meloni e Salvini) con evocazioni vuote e manipolatorie dell’immaginario della pietà popolare. Come risposta, alcuni amici propongono di opporre a tanto vuoto di identità un pieno di radicamento teorico e storico, un pensiero forte esplicitamente dichiarato che critichi l’intero quadro politico esistente in nome di una tradizione di cattolicesimo democratico autentica e genuina. Di fronte a tante mezze ideologie sbiadite o cinicamente raccattate e manipolate si vuole insomma riproporre, non un’ideologia, ma un ideale integro, forte, secondo la formula per cui 1 è maggiore di 0 o di mezzo.

Mi permetto di sollevare un dubbio. Non tanto sulla forma, sull’appeal dell’idea, quanto sulla coerenza fra la sua forma e la sua sostanza. In sintesi, io non credo che una dichiarazione netta, esplicita e ‘sbilanciata’ di un’identità esplicitamente ‘cristiana’ o anche ‘cristianamente ispirata’ abbia non solo seguito elettorale (esistono ancora i ‘cattolici’ come elettorato omogeneo?), ma anche corretto senso politico.

Mi spiego: se la politica è gestione e accompagnamento dei fenomeni, mi sembra che dichiararsi nuovo soggetto politico ‘cristiano’ significhi ignorare il processo di secolarizzazione, non leggere i segni dei tempi, in fondo rifiutare la vera chiamata personale e politica ad essere ‘nel mondo’ anche se non ‘del mondo’, a operare ‘in Spirito e verità’ senza dire ‘Signore, Signore’.

La semplice logica matematica 1>0 potrebbe allora affinarsi per comprendere che in un mondo di tanti 0 si deve parlare una lingua diversa da quella binaria (1/0), e tentare la lingua dei decimali (magari non in senso elettorale… né tantomeno in senso di compromesso a ribasso, semmai a ‘rilancio’), cioè, fuor di metafora, affrontare l’ostacolo delle (post-)ideologie senza cadere nella loro trappola, parlando un linguaggio che le superi, che riesca a coinvolgere in prima persona il ceto medio oggi in crisi patologica; coinvolgere le persone attraverso proposte concrete, radicali nella critica ma ancora più coraggiose nella costruttività.

Questa radicalità, che ci scrolli di dosso un certo disincanto vagamente malinconico o arrogantemente paternalista, insieme a una seria scelta di reclutamento, formazione e proposta di una nuova classe dirigente, ci distinguerà dal grigio moderatismo vagamente di centro permettendoci, proprio per questo iniziale distinguo, di pungolare costruttivamente in un ‘dialogo a distanza’ quelle forze di centro/centro-sinistra oggi in crisi e in declino.
In poche parole, va proposta un’offerta politica incentrata sul programma e sul linguaggio essenziale e diretto con cui esporlo.

Innanzitutto concentrandosi su due o tre temi forti chiaramente esposti, tra i quali ad esempio essenziale sarebbe la meta-questione della partecipazione democratica (preferenze per i candidati, regolamentazione democratica dei partiti…). È in merito a questo programma e a come sapremo comunicarlo e proporlo che ‘chi siamo’ emergerà da sé, insieme al nostro nome, ed è ovvio che sarà figlio di una tradizione millenaria (perché se si vuole cercare illustri antenati è giusto rifarsi a Moro, De Gasperi e Sturzo, ma anche a San Tommaso, Agostino, Paolo…), ma è anche ovvio che una tale tradizione sopravviverà solo se saprà incarnarsi autenticamente e sinceramente nel nostro tempo.