Mentre il Presidente Mattarella presenziava alla Cerimonia per i 150 anni dalla scomparsa di Alessandro Manzoni, qualcuno si affannava ad auspicare meno latino e più ChatGPT nelle scuole superiori, senza dimenticare la via immersiva da tempo imboccata dal metaverso e dalle teorie del mondo virtuale inclusivo. La tecnologia “corre come una lepre”, scrive Ruben Razzante nel libro “I Social media che vorrei” e “tocca il cielo con un dito”, come aveva ben descritto Emanuele Severino. Penso al candore di Pascal nel distinguere l’esprit de geometrie dall’esprit de finesse e la mente guarda a ritroso nella Storia, con gratitudine per chi ha rappresentato la scienza – da Leonardo, a Newton ad Einstein – e per chi ha esaltato l’arte – come Caravaggio, Mozart, Dostoevskij, per ricordare solo l’altro ieri. Globalizzazione e post-moderno si sono imposte come derive che hanno offerto un assist alla tecnica, il pensiero ha assunto prevalenza computazionale, come lo stesso Heidegger aveva intuito e mentre l’arte vive più la stagione della riproducibilità tecnica che l’aura dell’originalità, come rimarcato da Walter Benjamin nel celebre saggio scritto tra il 1935 e il 1939, la deriva scientifica prende il sopravvento in tutti i suoi connotati teoretici ed applicativi.
Tecnica, tecnologie, algoritmi, hardware e software, cyber e web ne sono i cascami continuamente attualizzati, mentre l’Intelligenza Artificiale riassume la progettualità ad alto indice innovativo, è una sorta di via tracciata per codificare la correlazione tra mente umana e sua capacità di replicarne le funzioni in modo programmato o autonomo, come spiega Luciano Floridi quando parla di “cut and paste” del digitale: la capacità di ricombinazione della realtà, una sorta di suo “copia e incolla”.
“I robot per adesso non sono più intelligenti dell’uomo ma lo possono diventare” ha detto Geoffrey Hinton, guru dimissionario di Google e gli impliciti sottesi aprono scenari impensabili. Il processo di digitalizzazione è parte integrante della più ampia deriva di riconversione ecosistemica: tutto sta ad intendersi sull’uso e il senso delle parole e sui limiti delle azioni esperibili. Finora l’approccio con l’I.A. è stato tendenzialmente negativo, prefigurando narrazioni distopiche e scenari catastrofici. Sarebbe auspicabile una connotazione diversa a condizione che l’uomo resti al centro dei cambiamenti, le cui regole siano gestite dalla scienza ma sovraordinate da codici etici, condizione non sempre traducibile sul piano del diritto tanto che in molti prevale un giustificato scetticismo.
È di questi giorni la notizia di Neuralink, la start-up di Elon Musk, di aver ottenuto dalla FDA (Food and Drug Administration-USA) l’autorizzazione a progettare dispositivi da impiantare nel cervello per comunicare con i computer attraverso il pensiero: un’immaginazione che ha sempre affascinato e terrorizzato, questa del comando mentale a dispositivi esterni programmati per svolgere determinate funzioni. Musk ne evidenzia le potenzialità persino medicali e terapeutiche, come help di connessione con la realtà per aiutare persone paralizzate o affette da patologie neurologiche. Per realizzare questa funzione di comando sarebbe necessario impiantare un chip nel cervello attraverso un intervento chirurgico. Non sfuggono tuttavia – quasi sintomaticamente – i pericoli di un uso distorsivo di questa funzione: per cancellare la privacy- ad esempio – o per comandare a distanza dispositivi capaci di compiere azioni criminose, per implementare l’uso preordinato del digitale, per limitare le libertà personali concentrando il potere di controllo nelle mani di trust malavitosi.
Il pericolo di un uomo robot. Un mondo telecomandato gestito da potenziali “padroni dell’uomo che esercitano il loro dominio attraverso il cervello, direttamente con gli impianti di sensori digitali e mediatamente con l’intelligenza artificiale”, come mi scrive Vittorino Andreoli, che di potenzialità ed azioni distorsive dell’uomo sull’uomo e sull’umanità se ne intende. Perché il rischio più nefasto e persino irreversibile è che ne venga deformata e distrutta la struttura ontologica della persona, il suo pensiero, le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue libertà. Facendo parte della natura anche l’uomo ne condivide i rischi distruttivi, che sono sotto gli occhi di tutti, ma anche le potenziali capacità reattive, persino di ribellione. Per questo accolgo l’invito del Prof. Andreoli, un mix di affettuoso consiglio e di prefigurazione di un futuro carico di incognite: “Si goda la vista del sole poiché tra poco lo vedrà come un enorme bitcoin”.