Il guazzabuglio di sigle non agevola il rilancio della proposta democratico cristiana.

La ricomposizione delle diverse esperienze nate dalla diaspora dc è un obiettivo che il sistema proporzionale delle europee rende più realistico. Servirà raggiungere una soglia minima pari a quasi quattro milioni di voti.

Sembra di combattere contro i mulini a vento anche per un don Chisciotte come me che ha assunto questo pseudonimo dal 1993, anno della fine politica della Democrazia Cristiana. Dopo trent’anni di continue battaglie segnate dalla scomposizione progressiva del partito che aveva governato l’Italia per oltre quarant’anni (1948-1993) e la sua frantumazione nei mille rivoli della diaspora. Sono nate tante piccole casematte che hanno spezzettato anche ciò che rimaneva della Dc in periferia, alcune delle quali semplici aggregazioni di notabilati di alcune personalità interessate soprattutto a sopravvivere a destra o a sinistra nella lunga stagione di passaggio dalla Prima Repubblica e sino ai giorni nostri.

 

Un primo tentativo di ricomposizione era stato tentato con la Federazione Dc e Popolari presieduta dall’On. Peppino Gargani, che era stata avviata con un atto fondativo sottoscritto da una cinquantina di movimenti, associazioni, gruppi e partiti, con l’impegno di dar vita a un soggetto politico nuovo di centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Quel tentativo non ha potuto decollare per il NO degli amici Rotondi e Cesa e il debole appoggio di altri insieme ad alcuni errori di conduzione tattica mal digeriti da qualche autorevole sottoscrittore del patto.

 

Anche tra i presunti eredi della Dc, anziché raggiungere la ricomposizione,la platea si è andata via via ampliando di sigle e di sedicenti segretari nazionali; ferma restando le ragioni legali di continuità giuridica della Dc, nata dall’autoconvocazione del Consiglio nazionale del partito nel 2012, con l’elezione poi della segreteria di Gianni Fontana prima e di Renato Grassi dal 2018, al quale è succeduto al XX Congresso di quest’anno, Totò Cuffaro. Il permanere del sistema elettorale largamente maggioritario del rosatellum, ha favorito i tatticismi dei soliti noti, interessati a garantirsi il posto al sole nelle liste della destra o della sinistra, sino a verificare l’egemonia della destra alle politiche del settembre 2022. Una destra che ha assunto per la prima volta dal 1948 la guida del governo del Paese. Questa nuova e per certi versi inedita situazione politica si incrocia con la prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. Una scadenza nella quale, finalmente, sarà vigente la legge elettorale proporzionale con preferenze, ossia una condizione che libererà la nostra area sociale e culturale dalla necessità di scegliere l’alleanza a destra o a sinistra.

 

Ecco perché da molto tempo continuo a sostenere il progetto della ricomposizione politica dell’area popolare, avendo consapevolezza che essa è caratterizzata dai “cattolici della morale” e dai “cattolici del sociale” e, in definitiva, dalle tre culture che hanno segnato profondamente la sua storia: quella dei cattolici democratici, dei cattolici liberali e dei cristiano sociali. I primi, sulla base del documento approvato al Parco dei Principi, hanno dato vita al gruppo “Tempi Nuovi-Piattaforma Popolare” (mantenendo una qualche articolazione interna), così come è sorto il movimento di Iniziativa Popolare coordinato da Mario Tassone e ben strutturato è pure il movimento-partito “Insieme” guidato da Giancarlo Infante. Anche il Sen. Ivo Tarolli ha dato vita con alcuni amici al movimento “Piattaforma Popolare 2024”.

 

Iniziativa Popolare, poi, è sorta sulla base della condivisione di un documento politico Bonalberti-Fiori-Tassone-Tucciariello che si pone l’obiettivo della ricomposizione politica dell’area cattolica, come affermato nel convegno del 13 Maggio scorso a Roma al teatro parrocchiale di San Lorenzo in Lucina.  Sono subito emersi i primi distinguo e da qualcuno la volontà di proseguire in solitaria un’avventura che, in quelle condizioni, può solo votarsi all’ennesimo suicidio politico. Alle elezioni europee servirà raggiungere una soglia minima pari a quasi quattro milioni di voti. Un’ipotesi già difficilissima se condotta con una lista unitaria, ma che diventerebbe impossibile e del tutto velleitaria se fosse condotta con liste separate.

 

Se qualcuno pensasse di conservare le vecchie etichette o di ricostituire consumate esperienze (Margherita 2.0?!) sperando di essere attrattivi per l’intera area, temo sia fuori strada. Salvo che lo stesso non predichi bene e razzoli male, simulando l’unità e dissimulando la ricerca più sicura in qualche lista della destra o della sinistra, è evidente che l’unica strada ragionevole percorribile sia quella della formazione di una lista unitaria rappresentativa delle diverse anime dell’ampia, articolata e complessa realtà sociale e culturale cattolica popolare. Siamo chiamati tutti, comunque, a un grande senso di responsabilità e a usare pazienza e tolleranza, coerenti con l’insegnamento degasperiano dettato al Congresso Dc di Napoli (1954): “solo se siamo uniti, siamo forti, se siamo forti siamo liberi di agire…”.