Le politiche attive del lavoro sono un cardine della strategia europea. In particolare, l’invecchiamento della forza lavoro non può trascinare con sé l’invecchiamento delle competenze. Occorre un impegno per tutto l’arco della vita.
Un po’ come un surfista che si prepara a cavalcare la cresta dell’onda, quando l’acqua inizia ad incresparsi, così l’Italia scalda i motori per la ripartenza con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) presentato dal governo Draghi e recentemente approvato in via definitiva dalla Commissione Ue.
Sono oltre 200 i miliardi in arrivo da adoperare per l’attuazione dei programmi presentati nelle cinque missioni, che costituiscono le tappe della ricostruzione. Tra i tanti temi affrontati non potevano mancare la formazione e il lavoro, ormai due facce della stessa medaglia, che toccano trasversalmente gran parte dell’impianto del Pnrr. La centralità di questi pilastri si denota, tra gli altri interventi, nell’ingente somma riservata allo sviluppo degli ITS (Istituti Tecnici Superiori), il sistema di formazione professionale terziaria, parte della quarta missione “Istruzione e ricerca”, di cui si sta discutendo alla Camera per la ridefinizione della missione e l’organizzazione del sistema.
Con 1,5 miliardi messi a disposizione, si ambisce ad aumentare il numero di iscritti a questi percorsi, a potenziare i laboratori con tecnologie 4.0, a formare i docenti perché siano in grado di adattare i programmi formativi ai fabbisogni delle aziende locali e a sviluppare una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro rivolte agli studenti in possesso di qualifiche professionali, così da favorire l’incontro tra domanda e offerta. Cifre che sembrano essere un primo passo per la svolta.
L’Italia, ad oggi, è il fanalino di coda in Europa per numero di persone che vengono formate in questi istituti. A fronte degli attuali 18 mila iscritti in 110 fondazioni ITS nel Bel paese, la Germania forma tecnici superiori in numeri di circa 800 mila ragazzi e la Spagna circa 450 mila. Il premier Mario Draghi aveva già sottolineato l’importanza di queste realtà, nel discorso programmatico al Senato, considerandoli come una pietra angolare del sistema formativo anche per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro (circa l’80% dei diplomati tecnici superiori è occupato entro 12 mesi dalla conclusione del percorso di studi).
Senza nulla togliere alla formazione terziaria tradizionale, gli ITS svolgono una funzione complementare a quella universitaria per la costruzione di profili professionali coerenti alle esigenze reali delle imprese locali, grazie alla possibilità che queste hanno di collaborare attivamente alla progettazione dei percorsi e di far parte di vere e proprie reti territoriali.
Ma non finisce qui. Nel pacchetto di 6,01 miliardi riservati alle politiche attive del lavoro e sostegno all’occupazione nella quinta missione “Inclusione e coesione”, una quota di 600 milioni viene messa a sostegno del sistema duale nell’ambito dell’istruzione e della formazione professionale. Al centro ci sono l’apprendistato e l’alternanza scuola lavoro rafforzata. Un segnale inequivocabile di come questo modello di apprendimento e di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, basato sull’alternarsi di momenti “in aula” con momenti in contesti lavorativi, rappresenti sempre più una bussola per l’educazione, l’istruzione e la formazione integrale dei giovani.
È infatti attraverso queste esperienze, e allo sviluppo congiunto di competenze hard e soft, che è possibile maturare un “saper fare” e un “saper essere” fondamentali per tutto l’arco della vita professionale. La “complessità” della nostra epoca, come scrive Edgar Morin, è caratterizzata da una velocità fulminea con cui le competenze tecniche diventano obsolete, facendo rimanere in partita solo chi è in grado di imparare ad imparare continuamente, aggiornando le proprie conoscenze in una prospettiva di lifelong learning.
Già nel 2015 un’indagine di Unioncamere aveva rivelato come per il 78% degli imprenditori le competenze trasversali fossero importanti tanto quanto quelle tecniche, riconfermando l’idea che per rispondere ai cambiamenti repentini e continui della nostra società sia importante essere flessibili, creativi, autonomi, capaci di lavorare in gruppo e pronti a rimettersi in discussione continuamente. Non da ultimo, fanno buon gioco allo sviluppo delle competenze soft anche i 650 milioni previsti per il potenziamento del Servizio Civile Universale, tra le esperienze più importanti di apprendimento non formale (al di fuori dei sistemi formali come scuola e università) e di cittadinanza attiva.
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