Articolo già apparso sulle pagine di Civiltà cattolica a firma di Giovanni Sale
Quest’anno ricorre il centenario della fine della Prima guerra mondiale (1914-18). Una fase determinante per la vittoria finale dell’Italia, comincio 7 mesi dopo la «disfatta» di Caporetto, che di fatto rappresentò un’occasione di svolta per l’esercito italiano. Nella cosiddetta battaglia del Solstizio del giugno 1918, gli austriaci cercarono di replicare il successo di Caporetto. Ma l’esercito austriaco, commise l’errore di sottovalutare la forza e la determinazione del nemico, non riuscì a «sfondare», disperdendosi su un fronte troppo lungo (130 chilometri) e diversificato. Intanto, tra settembre e ottobre la situazione dell’Impero precipitò, soprattutto sul piano politico interno. Così il conflitto si sarebbe concluso senza una chiara vittoria italiana ottenuta sul campo di battaglia. In termini militari, ciò avrebbe significato una forte penalizzazione delle richieste italiane sul tavolo della futura Conferenza di pace.
Di qui la decisione, presa dal presidente del Consiglio Orlando l’11 ottobre 1918, di agire il più presto possibile con un’offensiva, ampia e generalizzata, sul Grappa e sul Piave. La sera del 29 ottobre le truppe italiane raggiunsero Vittorio Veneto, il 30 Sacile e il giorno dopo Feltre. Il 3 novembre Trento e Trieste furono occupate, mentre nello stesso giorno a Padova, venne firmato l’armistizio, che fissava per il 4 novembre la fine delle ostilità.
Ma la battaglia di Vittorio Veneto fu giudicata con «sufficienza» alla Conferenza di pace di Parigi, a Versailles, dove erano riuniti i «grandi». Fu considerata sostanzialmente una «vittoria prevalentemente italiana», ininfluente sulla sorte del grande conflitto europeo. Neppure la letteratura storica – in particolare quella anglofona – le diede molto risalto.
A Versailles la delegazione italiana, guidata da Orlando e dal ministro degli Esteri Sonnino, dava per scontate le compensazioni previste nell’Accordo segreto firmato a Londra nel 1915, che però gli Stati Uniti non avevano sottoscritto. In realtà, sia Orlando sia Sonnino, sostenuti in patria dai nazionalisti, non si resero conto del profondo cambiamento che era intervenuto nella situazione internazionale con la caduta dell’Impero austro-ungarico e con la nascita di nuove entità nazionali nel cuore dell’Europa, oltre che con l’emergere della potenza americana, da cui dipendevano, sul piano economico e finanziario, tutte le potenze vincitrici, compresa l’Italia. Di fatto, alla fine, le richieste dell’Italia furono accolte soltanto in parte.
Gabriele D’Annunzio coniò così la celebre espressione «vittoria mutilata» per definire ciò che l’Italia aveva ricevuto in cambio di 500.000 caduti e di un milione di «mutilati». La fine della guerra non pacificò il Paese, ma fu l’inizio di nuovi conflitti sociali e politici che nel giro di pochi anni portarono l’Italia al fascismo.