“Die Mauer”. Il Muro, simbolo tragico di un’epoca al tramonto

Trent'anni fa cadeva il Muro di Berlino che da 37 anni divideva non solo la città e la Germania dell’est e dell’ovest, ma l’Europa.

Nel novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino che da 37 anni divideva non solo la città e la Germania dell’est e dell’ovest, ma l’Europa. Il sistema sovietico dominante nei paesi dell’est Europa era stato già messo i discussione nel ’56 in Ungheria e nel ‘68 dalla Primavera di Dubcek, ma tutto si era sempre risolto in una durissima repressione. Sollecitata da questi fatti, da matricola all’università La Sapienza organizzai una manifestazione per Jan Palach, lo studente  praghese mio coetaneo che si fece bruciare nella piazza San Venceslao.

Poi venne il tempo di Solidarność, nella simbolica Danzicaść guidata da Lech Walesa e la grande speranza alimentata da Giovanni Paolo II, oggi quasi dimenticato nelle celebrazioni del trentesimo anniversario. Eppure lo stesso Mikhail Gorbaćëv disse di lui nel 1979, dopo la sua storica visita in Vaticano: “Tutto ciò che è successo nell’Europa orientale non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare sulla scena mondiale”. 

Un Papa che aveva messo in guardia dai rischi che al vuoto del comunismo (che aveva sofferto personalmente a Cracovia) si sostituisse il materialismo e il consumismo e che invitava a dare pari dignità ai “due polmoni“ dell’Europa sulla base di valori  comuni, fondati sulla libertà e dignità della persona umana. Una profezia che aveva capito quali potevano essere i rischi di una unione egemonizzata dall’ovest o solo utilitaristica. 

 

Credo possa interessarvi l’articolo che pubblicai sul settimanale “La Discussione” proprio nel dicembre dell’89, di ritorno da Berlino dove ero stata  con una delegazione di deputati italiani. È una sorta di resoconto degli avvenimenti, delle reazioni e delle analisi di quei giorni che hanno cambiato l’Europa e il mondo.

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Il Natale in Germania vedrà intanto una prima, capillare riunificazione: quella di migliaia di famiglie, che si ritroveranno al di qua e al di la del muro di Berlino, intorno ad abeti e Presepi, in un’intimità che sognavano da quasi trent’anni. La nuova fase che si è aperta nella difficile convivenza tra le due Berlino, ha avuto una sua eloquente sottolineatura domenica scorsa scorsa, nel mercatino di Natale della zona ovest, dove hanno passeggiato a braccetto i due sindaci Krack e Momper.

Di ritorno dalla Germania dopo una breve visita con una delegazione della Commissione Cultura della Camera, cerco di fare ordine tra le impressioni, le testimonianze, i segni quotidiani raccolti in pochi giorni. Pochi giorni? Ma tutto è successo in quei giorni.

Martedì 5 dicembre: l`intero gruppo dirigente del Partito comunista di Berlino Est è agli arresti domiciliari, compreso l’ex-segretario generale e Presidente del Consiglio di Stato Honecker mentre si sono dimessi il Procuratore generale e il suo vice. Accusa: corruzione. Il giorno prima centocinquantamila persone avevano dimostrato a Lipsia e sessantamila a Karl-Marx-Stadt dove si è chiesto tra l’altro il ripristino dell’antico nome della città, Chemnitz.

Mercoledì 6: è arrestato a Berlino ovest il principale artefice della gigantesca frode valutaria del Governo della Germania Est, Schalck-Golodkowski, mentre il vicepresidente del Consiglio italiano Martelli, in visita ufficiale, non sa più chi potrà incontrare a Berlino est, oltre i rappresentanti dei gruppi di opposizione.

Giovedì 7: di fronte a vere insurrezioni popolari, il Capo del Governo Modrow rivolge un appello alla moderazione, mentre su invito delle Chiese evangelica e cattolica si tiene a Berlino est il primo incontro tra i partiti ufficiali e i rappresentanti dei gruppi di opposizione (14 a 15). Si è parlato di riforma costituzionale della nuova legge elettorale, di libertà di stampa.

Venerdì 8: alle 19 comincia il Congresso straordinario della Sed, il Pc tedesco-orientale, per rilanciare «un partito socialista radicalmente nuovo», e per valutare la possibilità di «strutture confederative» tra le due Germanie, riprendendo in sostanza il piano Kohl sia pur affermando che la Germania dell‘est «non sarà venduta» all‘altra Germania. Intanto a Strasburgo il Consiglio europeo trova un accordo che resterà nella storia: «la Cee punta ad una pace europea nella quale il popolo tedesco ritrovi la sua unità attraverso una libera determinazione».

Sabato 9: viene eletto nuovo segretario della Sed Gregor Gysi, un “riformatore”, ma il congresso riprenderà il 16 dicembre per approvare, tra l’altro, il nuovo nome del Partito: tra le tre ipotesi in votazione la parola “comunista” è comunque scomparsa. Viene la domanda, un po’ malizosa: ma il Partito comunista italiano non rischia di rimanere tra poco il partito comunista «ombra»?

Mentre queste ed altre cose succedevano, abbiamo incontrato membri del Governo federale, parlamentari del Bundestag, l’”assessore” alla cultura di Berlino ovest, la senatrice dell’Spd Martini, nonchè la nostra rappresentanza diplomatica a Bonn e a Berlino ovest.

Da tutti, con accenti e preoccupazioni diverse, un monito: la divisione europea, dopo la guerra, è avvenuta in Germania: “la caduta del muro di Berlino è quindi un problema europeo, non solo tedesco” – ci ha dichiarato la senatrice Martini, raccontandoci come, giorno dopo giorno, le due Berlino imparino a collaborare, pur nella particolarità di questa città divisa in due, ma con la parte occidentale ripartita tra le quattro potenze alleate, e con una municipalità speciale, che si trova ad avere come interlocutori i ministri della Germania orientale, più che il borgomastro di Berlino est, e che da queste parti deve fare i conti con il Governo di Bonn o la Conferenza dei ministri degli undici Laender.

Con praticità tutta femminile, la Martini ha avviato iniziative di cooperazione culturale, sulla meno conflittuale (e più urgente) dimensione quotidiana dei problemi, aperti dalla possibilità per i berlinesi dell`est di accedere nell’altra metà della città. E cosi veniamo a sapere che Berlino ovest offre a questi cittadini «poveri» di assistere agli spettacoli e ai concerti a costi sociali, concede loro metropolitana e autobus gratuiti, e da quando si è aperto il varco il Bundestag “regala” ad ogni concittadino orientale 150 marchi (circa 75 mila lire) da spendere fino a dicembre nei negozi di Berlino.

Ma dal  primo gennaio sarà possibile anche per i tedeschi dell’Ovest recarsi oltre il muro e ,in base agli accordi,i cittadini dell’est potranno ottenere al cambio ufficiale l’equivalente di 200 marchi della Repubblica Federale all’anno. Cosi sono allo studio una serie di misure per consentire ai tedeschi orientali di accedere alle manifestazioni culturali e ai negozi di Berlino ovest, ma cercando di non desertificare la parte orientale della città. Un esempio: Berlino est ha offerto (dietro lauto affitto) di ospitare per un anno i concerti programmati dalla Filarmonica di Berlino ovest, chiusa a causa di lavori.

Così è nata la decisione del ministero degli Affari culturali della Germania dell‘Est e della municipalità di Berlino ovest di chiedere all’Unesco di considerare l’intera città zona particolare di intervento, come “eredità culturale mondiale”.

Le sue parole trovano una diretta conferma nel clima che si respira a Berlino: nel pomeriggio del sabato il centro è quasi vuoto, mentre ha ripreso a vivere l’antico centro di Berlino, quello presso la Porta di Brandeburgo, oggi visibile solo da un’altana in legno, innalzata al di qua del muro. Fiumi di persone e di macchine corrono incessantemente lungo il muro, si affollano in code lunghissime ai cancelli aperti del «Charlie check point”. Le due Berlino sono visibili nelle espressioni “I berlinesi dell‘Est – dice la guida – si sono come “illuminati”, ma quando vedono quello che offre la parte ovest, si sentono traditi”), nell’abbigliamento, nelle piccole, fumose Trabant, ancora a miscela, che ospitano intere famiglie dall’aria un po’ stupita e un po’ trionfante.

Un traffico inedito, a Berlino, che dura da quel fatidico 9 novembre. Un giorno, un mese e un anno destinati ad entrare nella storta d’Europa e del mondo, per quell’estrema, dilaniante simbolicità del muro. “Die Mauer”, come viene chiamato qui.

Forse per questo, la sera tardi piccoli gruppi di persone sostano intorno a qualcuno, giovane o anziano, che con determinazione e foga, armato di martello e scalpello, strappa pezzetti di cemento, fino a ottenere spiragli da cui si vedono garitte ormai vuote e riflettori immobili. E mentre ricevo dei «pezzetti» del muro di Berlino da un distinto signore dai capelli bianchi, tutto rosso per lo sforzo e la gioia della sua opera di demolizione, mi sembrano ancora più assurde e inaccettabili le tante croci bianche allineate davanti al muro.

L’ultima vittima è un ragazzo di vent’anni, caduto otto mesi prima del crollo di quello che ormai si rivelava sempre più il simulacro di una finzione. “Il muro era già trasparente – ci ha confermato il sottosegretario agli Interni Carl Dieter Sgranger, responsabile per l’editoria e il sistema radiotelevisivo della Rft – perché nonostante il divieto emanato quindici anni fa dalle autorità della Germania dell’est, nella maggior parte delle case vi sono antenne nascoste, che consentono di ricevere i programmi radiofonici e televisivi deIl’Ovest”.

Solo alcune zone della Ddr, fuori del raggio di ricezione, ne sono escluse e vengono chiamate “le valli degli ignoranti”. Ma ormai anche in queste valli si consuma la catastrofe del comunismo europeo, che accomuna Berlino a Varsavia, a Praga, a Budapest, a Sofia, alle repubbliche sovietiche e che finalmente comincia a contagiare la Romania, come ha scritto anche su queste pagine lo scrittore e profugo rumeno Grigore Arbore.

“Quest’anno si celebrano i duemila anni dalla fondazione della “romana” Bonn, il bicentenario della rivoluzione francese, i cinquant’anni dall’inizio della guerra, i quarant’anni dell’esistenza delle due Germanie, ci aveva ricordato a Bonn il sottosegretario alla Formazione e Scienza del Bundestag, Norbert Lammert, della Cdu. E ha commentato: «In futuro si celebrerà il 1989, come cesura storica, che ha visto in pochi mesi una radicale evoluzione dell’Europa orientale”.

Un giudizio molto preciso è venuto da lui sulla particolare questione della “riunificazione”, quell’attrazione fatale come l’ha definita Massimo Nava sul “Corriere della Sera” – cui nessun tedesco può sottrarsi. «Nessun paese della Cee più della Germania – ha affermato Lammert – è colpito dallo sviluppo e dalla trasformazione in atto all’Est».

Molti “vicini” temono che la Germania federale perderà, per questo, interesse al processo di integrazione europea o individuerà nuove priorità nei suoi orientamenti? “Si tratta di preoccupazioni comprensibili ma infondate – ha replicato – che non corrispondono né alle nostre convinzioni né ai nostri interessi”. E ha ricordato che senza il coinvolgimento della Germania occidentale nella Cee e nella Nato,queste non si sarebbero sviluppate come sono, ma anche che lo sviluppo della Germania Federale non ci sarebbe stato senza l’attrazione esercitata dalla Comunità in senso democratico.

Proprio perché la comunità non è solo Mercato unico, ma è comunità di popoli liberi, ha per obiettivo la garanzia della libertà dei cittadini e il loro diritto all’autodeterminazione”.

Ecco tornare, nelle parole di Lammert, non solo il decimo punto del “decalogo” di Kohl, ma anche la dichiarazione comune dei Paesi Nato, in giugno, a favore dello stato di pace in Europa, “dove il popolo tedesco possa ritrovare l‘unità in base all’autodeterminazione”.

Alla vigilia del Consiglio Europeo, Lammert si augurava che questa posizione dei paesi occidentali non fosse comune solo perché la questione non era ancora di attualità. Per fugare sospetti di revanscismo germanico, Lammert ha affermato con forza che “la cosiddetta questione tedesca non è nè più né meno che la forma in cui potrà sfociare la questione europea, e dunque potrà essere risolta in Europa e con l’Europa”.

Ricordato come non ci sia un paese in Europa che, attraverso amare esperienze, sia diventato più europeista della Germania, Norbert Lammert ci ha rivolto un appello: “Aiutateci! Se nascese qui l’impressione che l’Occidente non ci riconosce più il diritto all’autodeterminazione, quando questo da teorico diventa pratico, inevitabilmente – anche in condizioni democratiche – l’idea dello Stato nazionale si porrebbe in concorrenza con la costruzione europea”.

In volo da Berlino a Roma, con ancora negli occhi la porta di Brandeburgo chiusa dal Mauer, la Kurfursendamm scintillante di vetrine natalizie, il grattacielo dell’Europa Center, la sagoma un po’ sinistra del Reichstag, la speranza e l’eccitazione impressa sui visi dei berlinesi, capisco che questa sarà l’esaltante stagione politica che dovrà vivere la mia generazione.

E non sono certa che sarà meno difficile dell’“epoca del Muro”.