Il Nobel a Geoffrey Hinton costituisce motivo di riflessione

Il Premio è stato attribuito allo scienziato per i suoi studi sull’IA. Al riguardo, bisogna considerare attentamente che nel senso del limite, piuttosto che nell’avventura senza momenti di riflessione, sta la grandezza dell’uomo.

Più volte mi sono occupato di Geoffrey Hinton e del suo approccio al tema dell’intelligenza artificiale fino ad esserne considerato uno dei padri fondatori, della sua carriera in Google di cui è stato per dieci anni eminenza grigia e portavoce: ricordo di averlo citato ad esempio in relazione al tema della realtà aumentata e delle strade aperte dal Metaverso, in alcuni scambi epistolari con il Prof. Vittorino Andreoli, comprese le recensioni dei suoi libri più recenti. Entrambi avvertivamo il pericolo di una concezione pervasiva e totalizzante dell’intelligenza artificiale e dei suoi cascami ideologici, fino a rischiare di perdere nei ragionamenti e nei comportamenti derivanti, il concetto di “normalità”.

Insieme a queste deduzioni si avvertiva di converso la necessità di ripristinare i limiti necessari per evitare uno stravolgimento negli stili di vita e il timore che le azioni umane fossero condizionate dalla tecnologia e dal mondo virtuale fino a perdere il senso dell’etica condivisa.  Geoffrey Hinton aveva offerto spunti di riflessioni importanti per la sua esperienza e per l’autorevolezza del suo carisma, consolidato nel periodo di permanenza nell’azienda leader dei motori di ricerca.

Debbo ammettere di essere rimasto affascinato dalla sua personalità, dalla sua penetrante intelligenza, dal suo equilibrio che ha saputo conservare in un mondo immersivo e virtuale come quello in cui ha elaborato teorie e analizzato tutti gli aspetti di questa dimensione complessa, che richiede competenze e padroneggiamento.

A un certo punto e direi al culmine della sua ascesa professionale che lo aveva reso autorità indiscussa in materia, Geoffrey Hinton – pioniere della ricerca sulle reti neurali e sul “deep learning” – lasciava Google con una motivazione che faceva riflettere: “I programmi di IA hanno fatto passi da gigante e ora “sono piuttosto spaventosi. Al momento i robot non sono più intelligenti di noi ma presto potrebbero esserlo”, aveva affermato alla BBC prefigurando scenari distopici impensati persino dalla fantascienza. “Il chatbot potrebbe presto superare il livello di informazioni di un cervello umano, mentre ‘cose’ come GPT-4 oscurano una persona nella quantità di conoscenza generale”.

Una rappresentazione immaginata alle soglie di un baratro ormai prossimo.

Proprio in questi giorni allo scienziato è stato attribuito il Premio Nobel per l’intelligenza artificiale e a questo prestigioso riconoscimento non sono estranee le riflessioni e gli approfondimenti che proprio nel momento apicale della sua carriera – che ha coinciso con valutazioni decisamente non allineate al trionfalismo dei fautori più convinti dell’I.A. – gli hanno restituito una dimensione umana, critica e riflessiva, peraltro interpretando dubbi e perplessità circolanti nell’immaginario collettivo.

L’apprendimento dei computer è da tempo importante per la scienza, perché permette di analizzare enormi quantità di dati. Hopfield (premio Nobel per la fisica) e Hinton (Premio Nobel per l’intelligenza artificiale)  hanno usato gli strumenti della fisica per porre le basi dello sviluppo attuale dell’apprendimento automatico. La capacità di imparare in modo autonomo da parte dei computer, basata sulle reti neurali artificiali, oggi sta rivoluzionando la scienza, l’ingegneria e la vita quotidiana”: questa è stata la motivazione del Premio.

Che è poi sostanzialmente un riconoscimento ai progressi compiuti in questo ambito dove l’intelligenza umana si incrocia in continuazione con l’intelligenza della “macchine” che produce, e che in Hinton ha assunto i toni del ripensamento ma anche di una consapevole lungimiranza. “Ho lasciato perché non mi sentivo libero di parlare dei rischi dell’intelligenza artificiale…Me ne sono andato per poter parlare dei suoi pericoli”.

Questa scelta sorprendente mi ha ricordato le spiegazioni che Reinhold Messner mi aveva dato parlando dei rischi delle ascese in montagna, della capacità di sapersi fermare in tempo, dell’importanza della valutazione dei pericoli possibili, delle pause e delle soste, perché “le dimensioni umane nascoste sono più importanti di quelle trionfalistiche”.

Il paragone potrà apparire eccessivo e fuori tema: citandolo voglio solo ricordare che ci sono limiti invalicabili di cui bisogna avere consapevolezza e che in questo, piuttosto che nell’avventura senza momenti di riflessione, sta la grandezza dell’uomo saggio che sa soppesare vantaggi, pericoli e conseguenze.

Trovo perciò che questo Nobel assegnato a Geoffrey Hinton ne metta in luce gli straordinari progressi sul tema dell’intelligenza artificiale ma sia anche un tributo alla capacità di fermarsi e “soppesare”, insomma un riconoscimento al valore del “pensiero critico”, massimo traguardo di ogni esperienza esistenziale.