Si può capire una certa titubanza che segna le reazioni di vari ambienti cattolici alla candidatura di Calenda. Del resto, in più interviste, Zamagni ha indicato nell’appuntamento elettorale amministrativo del prossimo anno la prova generale del nuovo partito d’ispirazione cristiana, appena costituito a Roma con legittime aspettative e ambizioni. Ciò non toglie che la prova, specie se considerata decisiva, abbia modo di esprimersi con formule diverse.
È necessario, insomma, vagheggiare una stretta appartenenza identitaria per i futuri candidati sindaci? Secondo le parole di Zamagni non si ipotizza un partito chiuso in se stesso, bensì una formula in grado di associare, alla luce di programmi condivisi, credenti e non credenti. L’importante è garantire, sul piano politico, il recupero di autonomia delle forze sociali e culturali che possono identicarsi con il “centro”, sebbene si tratti di una scarna categoria di classificazione.
Calenda è un battitore libero, insieme liberista e solidarista, certamente anti-populista. Non incarna la storia, se questo è il punto di discrimine, del Codice di Camaldoli. Ma oggi dove stanno e chi sono i cultori di questa eredità? Solo tra le pieghe del mondo cattolico, e non oltre, è possibile rintracciarne la presenza. Bisogna dunque guardare all’essenziale. Calenda sta provocando un piccolo terremoto: le vecchie dinamiche politiche si mostrano di colpo fuori sincrono al cospetto di un annuncio di rimobilitazione dell’elettorato intermedio, non assimilabile, cioè, né alla destra e né alla sinistra.
Per questo varrebbe la pena che ci fosse un’apertura di credito, anche se non al buio. Si usi il massimo di prudenza, ma non si sprechi un’occasione irripetibile. C’ê spazio per tentare, assieme al leader di Azione, l’avvio di un processo di grande cambiamento. Non solo a Roma.