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sabato, Aprile 26, 2025
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Il Papa degli ultimi e il giudizio del mondo

Tra Porta a Porta e Piazza San Pietro: il doppio volto della percezione papale. Come ogni suo predecessore, Francesco ha incarnato la propria cultura e la propria spiritualità.

Il “Processo a Gesù” è una straordinaria opera teatrale di Diego Fabbri, scrittore e drammaturgo cattolico. Fabbri si ispirò a un confronto simbolico promosso nel 1933 da alcuni giuristi anglosassoni sulla figura di Gesù, trasformandolo in una riflessione profonda sui limiti e le contraddizioni della società contemporanea.

L’opera metteva a nudo la crisi di valori della modernità: la perdita di riferimenti autorevoli, la sfiducia nei confronti della condivisione, dell’amore per il prossimo e dell’inclusione. Una società che, smarrita, finiva per rifugiarsi nell’individualismo.

Sottoporre idealmente a processo la figura di Gesù — anche se il vero bersaglio erano gli uomini del tempo — rivela il coraggio intellettuale e la profondità culturale dell’autore.

Un processo mediatico al pontificato di Francesco

Richiamare l’opera di Fabbri non è una forzatura gratuita. In questi giorni, infatti, ho avuto la netta sensazione di assistere a un “processo” — mediatico, ma non per questo meno significativo — al pontificato di Papa Francesco.

Mi riferisco in particolare ad alcune trasmissioni televisive, come le puntate dedicate da Porta a Porta, in cui il dibattito, orchestrato da Bruno Vespa, ha assunto una precisa impostazione “processuale”. Da un lato gli accusatori, dall’altro i difensori dell’opera pastorale e sociale del Papa.

Tralascio i commenti scontati di chi, da sempre, si è posto in modo pregiudizialmente critico verso Francesco — compresi alcuni articoli de Il Riformista — e mi concentro su quanto emerso dal programma di Rai 1.

Non mi hanno sorpreso le posizioni di Gianfranco Svidercoschi, storico vaticanista de Il Tempo, da sempre vicino a una visione tradizionalista e conservatrice del cattolicesimo.

Mi ha invece colpito l’atteggiamento di Massimo Franco, autorevole editorialista del Corriere della Sera, le cui critiche — puntuali e trasversali — hanno riguardato la politica vaticana, la dottrina e la gestione del governo ecclesiale, con pochissimi momenti di riconoscimento positivo.

Legittimità del confronto, ma attenzione al pregiudizio

È certamente legittimo esprimere un giudizio critico, anche severo, su una figura pubblica come il Papa. Ma è altrettanto legittimo, da parte di un osservatore libero, rilevare un’impostazione preconcetta, talvolta ostile a prescindere.

Io stesso non conoscevo a fondo Jorge Mario Bergoglio prima della sua elezione a Vescovo di Roma. Solo alcuni amici, testimoni diretti del suo servizio episcopale a Buenos Aires, me ne avevano parlato in termini positivi.

Eppure, quel “Fratelli e sorelle, buonasera” e la scelta della croce vescovile — anziché quella d’oro papale — furono per me un segno eloquente: un Papa vicino, sobrio, pastore più che monarca.

Un pontificato segnato da scelte coraggiose

Francesco ha portato con sé la sua storia: gesuita, sudamericano figlio di migranti, vescovo delle periferie durante la dittatura di Videla. Ha interpretato il suo ruolo di Pontefice con fedeltà a quel vissuto: con attenzione agli ultimi, con una predicazione instancabile per la pace e la giustizia, con uno stile semplice e diretto.

Come ogni Papa, ha incarnato la propria cultura e la propria spiritualità: così come fecero Giovanni Paolo II e Benedetto XVI prima di lui. E come non furono accettabili le critiche ideologiche rivolte a loro da certa sinistra laica, oggi risultano altrettanto ingiuste le accuse feroci mosse da ambienti conservatori e populisti contro Francesco.

Il Papa che ha toccato le ferite del mondo

Papa Francesco ha sfidato i poteri che alimentano la “Terza guerra mondiale a pezzi”, ha denunciato le ingiustizie sociali, ha combattuto il clericalismo, ha accolto tutti, senza giudicare. Ha difeso la vita nella sua integralità: dall’aborto all’eutanasia, ma anche nel lavoro, nei diritti dei migranti, nella dignità degli ultimi.

Indimenticabili resteranno le immagini della sua preghiera solitaria in Piazza San Pietro durante la pandemia, del pianto davanti alla statua dell’Immacolata mentre infuriava la guerra in Ucraina, e dell’ultima Pasqua, vissuta con fatica, ma anche con fede incrollabile.

La risposta del popolo di Dio

Nella riduzione teatrale del Processo a Gesù, il Cristo veniva assolto. Oggi, la folla che sta attraversando Roma per rendere omaggio al Papa degli ultimi rappresenta una risposta silenziosa ma eloquente al “processo” mediatico in corso.

È la voce del popolo di Dio — e non solo — che, al di là delle ideologie e delle contrapposizioni, riconosce in Francesco il volto di un pastore vero.