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giovedì, Febbraio 13, 2025
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Il Partito popolare, il Centro e Romano Prodi.

Il Partito popolare ha rappresentato una posizione di grande rigore nel contesto dell’Ulivo. Tuttavia, la presentazione della lista dell’Asinello alle europee del ‘99 contribuì fortemente a indebolirne la funzione e l’immagine.

Rileggere il passato e proiettarlo nel presente, da sempre, è un esercizio difficile e complicato. Di norma è sconsigliato. Basti pensare alla litania della sinistra radicale e massimalista e dei suoi gazzettieri giornalistici sul “ritorno del fascismo”. Ormai è quasi diventato un ritornello goliardico perché, non avendo alcuna dimestichezza con la realtà quotidiana, si limita ad essere un puro slogan astratto e del tutto virtuale.

Ma, per tornare ad un passato e pur senza limitarsi a rimpiangerlo, c’è un aspetto che – almeno per quanto riguarda il campo del cattolicesimo popolare e sociale – non può più passare sotto silenzio. E riguarda proprio la storia, l’avventura e l’epilogo del Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli, Gerardo Bianco e Franco Marini. Una esperienza politica carica di significato culturale, di storia politica e di progettualità di governo. Una esperienza, quella del Ppi, che ha giocato un ruolo decisivo e qualificante in una fase politica e storica molto delicata del nostro paese. Un partito che ha saputo riscoprire una gloriosa e storica cultura politica collocandola in un contesto che apriva le porte a quella radicalizzazione del conflitto politico che è poi divampato e consolidato negli anni seguenti. E, soprattutto, un partito che grazie alla sua classe dirigente ha saputo declinare quella “politica di centro” oggi quotidianamente e unanimemente rimpianta ed evocata. E, infine, un partito che grazie alla sua autorevolissima classe dirigente – a livello nazionale come a livello locale – ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nella cittadella politica italiana confrontandosi ad armi pari con gli altri partiti. Tanto della maggioranza quanto dell’opposizione dell’epoca.

Certo, tutti conosciamo l’obiezione principale. Perché si è sciolto quel partito? O meglio, perchè si è deciso di confluire in un altro partito, la Margherita, sapendo che si apriva una pagina molto diversa da quella che aveva dato vita al Ppi? Sono domande del tutto legittime a cui ciascuno di noi può dare una risposta più o meno convincente. C’è un elemento, però, che merita di essere ricordato senza polemica e senza alcun pregiudizio. La volontà, la scelta e la decisione di Romano Prodi e dei suoi amici nel 1999 di dar vita ad un altro partito, il cosiddetto “Asinello”, che si presentò alle elezioni europee dello stesso anno e che rispondeva ad un solo obiettivo: mettere in crisi politica, e ovviamente elettorale, il Ppi. Il suo ruolo politico, il suo progetto di governo e la sua funzione nella società italiana. Obiettivo ovviamente centrato che decretò una flessione elettorale del Ppi creando, di fatto, le condizioni per il suo indebolimento politico e il suo rapido dissolvimento. Tant’è che Franco Marini, storico leader dei Popolari, con una battuta sferzante ed efficace disse che “più che un asinello mi pare un somaro”.

Ecco, ho voluto ricordare questo piccolo particolare perché quando oggi leggiamo svariati resoconti giornalistici sulla necessità di rimettere in campo, seppur mutatis mutandis, una sorta di Ppi nel campo del centro sinistra, non possiamo non pensare a chi ha contribuito in modo potente, e decisivo, a liquidare definitivamente quella straordinaria esperienza politica, culturale e di governo nel passato. Perché, a volte e spesso, da una lettura attenta e non pregiudiziale o parziale del passato, possiamo tranquillamente comprendere anche le dinamiche politiche del presente. E la vicenda politica, elettorale e anche umana del Ppi, lo conferma in modo persin plateale che non merita ulteriori commenti.