Già pubblicato sulle pagine dell’Huffingtonpost
I conti, come si sa, non si possono fare senza l’oste. E quindi sino al 27 maggio non possiamo ridisegnare anticipatamente la geografia politica italiana che ci sarà. Ma un fatto è indubbio: dopo il 27 maggio, e a prescindere dagli stessi risultati elettorali – che comunque non si discosteranno granché dalle “tendenze” elaborate dai vari sondaggisti – nulla sarà più come prima. A cominciare dalla necessità, ormai richiesta e gettonata da settori crescenti e diversificati, di ridar vita ad una formazione politica che sappia recuperare e riattualizzare la tradizione, il pensiero, la cultura e una politica di “centro”. Ovvero una formazione politica che sappia affrontare la situazione politica che si è venuta a creare dopo il voto del marzo del 2018 e, soprattutto, che sappia battere la radicalizzazione della lotta politica che si è strutturata nel nostro paese. Non solo tra la “”nuova destra” di Salvini e la “nuova sinistra” di Zingaretti ma anche all’interno dello stessa area di governo.
Ora, per fermarsi al campo dell’ ex centro sinistra, e’ altrettanto indubbio, nonché oggettivo, che il panorama di oggi di quella coalizione non può reggere e,soprattutto, non è manco competitiva con gli avversari. Sia esso il centro destra o il partito antisistema e populista dei 5 stelle. E questo per una ragione molto semplice. Il Partito democratico continua a pensare di essere un partito a “vocazione maggioritaria”. Anche se siamo in un contesto dominato dal ritorno della legge proporzionale e quindi dalle rispettive culture politiche da un lato e, dall’altro, dal pesante ed irreversibile ridimensionamento elettorale del suddetto partito. Un vizio politico e culturale che stenta ad essere definitivamente rimosso. Perché se ai tempi del 40% del Pd era una strategia tutto sommato percorribile anche se contraddiceva un postulato essenziale della politica italiana che recita che la “politica in Italia e’ sempre stata politica delle alleanze”, oggi riproporre in modo subdolo quella “vocazione maggioritaria” rischia di essere ridicolo nonché un po’ patetico. Perché nell’ultima fase del Pd, quella a guida Zingaretti, e’ riemersa quella strana concezione che il partito di maggioranza relativa della coalizione distribuisce le carte, prevalentemente a tavolino, di chi ricopre il fianco destro, chi il fianco sinistro e chi il fianco centrista/cattolico della alleanza. Una operazione, appunto, ridicola che può avere un solo epilogo: la quasi scientifica sconfitta politica ed elettorale salvo il ritiro dei concorrenti o per via politica o per via giudiziaria. Il che, almeno per il primo caso, e’ altamente improbabile.
Ora, se la vocazionale maggioritaria del Pd e’ un mero ricordo del passato – in entrambe le versioni in cui viene praticata – si tratta di ridar vita ad un vero centro sinistra. Non basta fare liste europee che vanno dal liberal/liberista Calenda al ricco alto borghese di sinistra Pisapia per arrivare alla conclusione che il Pd e’ il vero e l’unico partito di centro sinistra. Non è così e, non a caso, tutti i sondaggi e le consultazioni reali che ci sono state sino ad oggi hanno detto che attualmente il centro sinistra, semplicemente, non c’è.
Ecco perché l’unica operazione politica che, almeno in questo campo, occorre far decollare e’ quella di ricostruire un forza/partito/movimento che sappia riattualizzare il pensiero, la cultura e il metodo di un centro riformista, laico, plurale, di governo e autenticamente democratico. Con tanti saluti alla vocazione maggioritaria o minoritaria del Pd a guida Renzi o a guida Zingaretti. Un centro plurale e riformista che sappia anche, ma non solo, far ritornare protagonista quel cattolicesimo democratico e popolare che da troppo tempo e’ ai margini della vita politica nazionale e che stancamente vota gli attuali protagonisti in assenza di un soggetto che lo rappresenti realmente. Non in chiave esclusiva o, peggio ancora, confessionale ma in una comune collaborazione con altre culture e altri filoni ideali. Una forza che sia in grado di battere quella radicalizzazione politica e quella cultura degli “opposti estremismi” che, se non sconfitta sul terreno politico e culturale, rischia di minare le stesse radici della nostra democrazia. Perché la democrazia italiana, per dirla con una bella espressione di Aldo Moro, resta sempre quella caratterizzata da “strutture fragili e da una passionalità intensa”.
Per questi motivi la grande novità politica del dopo 26 maggio non potrà che essere quella della nascita di un partito di centro e di un nuovo profilo dell’ ex centro sinistra. Solo così sarà possibile competere con un centro destra in salute e con un partito populista e antisistema come i 5 stelle. È bene saperlo prima che sia troppo tardi.