Quanto al “piccolo”.

Quella degli “Assistenti Civici” non mi pare affatto una buona idea.
Non perché la prospettiva di un impegno organizzato dei cittadini per una funzione di interesse comunitario sia sbagliata: anzi.
Il problema è che qui di “volontariato” nel vero senso del termine non si vede manco l’ombra.
Esso è infatti espressione libera (e assolutamente gratuita) del tessuto sociale ed esiste solo se in simbiosi con le comunità territoriali. Deve essere basato su motivazioni profonde, formato ed organizzato.

Non si può indire un “bando statale” per volontari: è un ossimoro.
Ciò risulta ancor più strampalato se lo si pensa nell’ambito della Protezione Civile.
La quale – come ci ha insegnato il compianto “Maestro” Zamberletti – deve respirare con due polmoni: quello di una snella ed efficiente struttura pubblica (statale, regionale e comunale secondo il principio della sussidiarietà) e quello di un volontariato organizzato e riconosciuto, sul modello – aggiungeva – di quei territori italiani che ancora conservano le tradizioni dell’impero austro-ungarico fondate sui Corpi Comunali Volontari dei Vigili del Fuoco. I reclutamenti estemporanei, avulsi dalla rete comunitaria e, tra l’altro, equivoci sotto il profilo della gratuità non fanno parte di questa logica.

Sarebbe invece necessario perseguire la prospettiva indicata da Zamberletti . Ma la strada è tutt’altro che quella ipotizzata.
Occorrerebbe piuttosto, in primo luogo, valorizzare e potenziare la rete delle organizzazioni del volontariato di Protezione Civile oggi esistente nei vari territori, pur se purtroppo a macchia di leopardo ed investire sul ruolo centrale dei Comuni e delle Regioni.
E, in una logica di medio periodo, investire sulla formazione dei volontari e sulla loro organizzazione, anche attraverso una nuova definizione giuridica che li identifichi non come “tappabuchi”, ma come parte essenziale ed integrante del sistema della Protezione Civile, con la stessa dignità delle strutture permanenti. Come avviene in alcune (rare) Regioni e Provincie Autonome italiane e come invece è realtà consolidata in mezza Europa.
Non è con questa iniziativa equivoca e pasticciata degli Assistenti Civili che si percorre tale strada.

Quanto al “grande”.

Anche questa vicenda – che in se può essere considerata come marginale nel mare dei problemi del Paese – è però indicativa di un problema di “orientamento” della politica attuale.

Mancano paradigmi di cultura politica e di concezione delle istituzioni capaci di collocare le scelte (piccole e grandi) in un orizzonte che abbia senso compiuto e coerente.
Cresce la percezione della mancanza di un “centro” inteso – come giustamente scrive sul Domaniditalia Lucio D’Ubaldo – non come furbesca attitudine all’equidistanza tra la destra e la sinistra, magari sintonizzata sul radar della convenienza di potere, ma come fondamento di una prospettiva di governo equilibrato e progressivo dei fenomeni sociali e politici. Secondo i principi di una democrazia “comunitaria” (non fondata cioè sul primato dell’individualismo, ma su quello del personalismo comunitario che si esprime nella ricchezza plurale delle formazioni sociali e civili) e orientata alla giustizia sociale (non “neutra”, cioè, rispetto alla questione fondamentale della disuguaglianza e alle conseguenze della pura logica del mercato).

È alla ricostruzione di un “centro” così concepito (ma, spero proprio, così “non” denominato) che la cultura politica del popolarismo- oggi dispersa, in parte essa stessa spiazzata dai cambiamenti e in parte insonnolita e sconnessa con i propri mondi vitali – deve dare il proprio peculiare contributo, con una propria “piattaforma” e con il coraggio di nuovi linguaggi, nuove leadership, nuove forme organizzate.