Il “ Prembolo” di Donat-Catin e l’abbandono della linea e del metodo di Aldo Moro

La questione del “ Preambolo”, la sua portata, le sue conseguenze possono costituire un ottimo inizio in questa direzione e, senza spirito di polemica o di critica al caro amico Giorgio

La lettura di quanto ha scritto l’amico Giorgio Merlo sul “ Preambolo” del 1980, soprattutto il modo con cui egli ne ha scritto, mi ha immediatamente portato alla mente la celebre frase “ Amicus Plato sed magis amica veritas”.

Subito dopo, mi ha costretto ad una riflessione più ragionata su quanto sia necessario avere il coraggio e le capacità di approfondire la Storia che ci riguarda, oltre che la cronaca.
Questo, proprio nel momento in cui si intende operare per ridare attualità e sostanza alla ispirazione popolare e cristiano democratica dedicandosi alla cosa pubblica.
Il tutto, ovviamente, non per rimestare antiche polemiche, riaprire ferite, indebolire relazioni ricucite; non per dare sfogo a rivendicazioni o a rivincite, o per quanto comunque edificante, ad una limitata ed episodica rilettura di fatti e cose di un’epoca che ha segnato molto di noi e tanto influito sul Paese.

In primo luogo, questo approfondimento storico culturale dovrebbe aiutare ad uscire dall’agiografia, così come dalla furia della critica per partito preso. Cose che pure spesso vediamo emergere nella realtà del nostro popolo, troppe volte all’oscuro di quanto non sia accaduto il giorno immediatamente precedente. Per non parlare poi delle ricostruzioni storiche sulla Dc d’impronta faziosamente laicista.
Si dovrebbe puntare alla completezza. Perché è questo che delinea meglio i fatti e consolida un percorso di riscoperta e di analisi intenzionate a definire ciò che ha contribuito a collocarci nella nostra attuale dimensione.

La questione del “ Preambolo”, la sua portata, le sue conseguenze possono costituire un ottimo inizio in questa direzione e, senza spirito di polemica o di critica al caro amico Giorgio, mi permetto di ricordare che quella presa di posizione significò una grave interruzione, se non addirittura la fine della politica e del metodo indicati da Aldo Moro.
Quella operazione significò l’estromissione dalla guida della Dc di quanti, nonostante ritardi e contraddizioni, provavano a riferirsi ancora all’animo e alla sensibilità “ morotea” della lettura delle cose del mondo e nell’individuare un percorso realistico e sostenibile.
Concorsero degli errori tattici compiuti dallo stesso Zaccagnini, il quale si presentò di fatto dimissionario, senza aver voluto risolvere la questione della sua successione, concretizzabile, in quel momento, o con Giovanni Galloni, o con Guido Bodrato o con Ciriaco De Mita.

Se i protagonisti sopravvissuti a quella vicenda vorranno un giorno disvelare ricordi e carte potremo meglio capire quanto ciò fu possibile a causa di una errata valutazione della situazione da parte dei componenti della cosiddetta “ banda di Shanghai”, alla guida di Piazza del Gesù attorno a Zaccagnini; quanto fu dovuto ai forti interessi anche occulti, dopo poco sarebbe scoppiato il bubbone P2; quanto, invece, il frutto di un’analisi politica, freddamente cinica e disincantata, su di una realtà difficile, resa ancora più difficile dal martirio di Aldo Moro e basata sul convincimento che fosse necessario mutare una rotta individuata e guidata con mano ferma da un “ nocchiero” ucciso nel frattempo, però, da un fuoco nemico e ostile proprio al percorso impostato lungo quella rotta.
Le testimonianze e le carte parleranno. Oggi, però, siamo già in grado di dire, come in molti già dicemmo allora, che il “ Preambolo” esprimeva la volontà della parte più chiusa della Dc di mettere la pietra tombale sul progetto moroteo al cui centro, con grande realismo e spirito costruttivo, brillava l’abnegazione profusa verso la costruzione di una democrazia compiuta.

Il “ Preambolo” significò puntare non su di una scelta di “ Confronto e rinnovamento”, bensì sulla mera gestione dell’esistente e del potere.
“ Confronto e rinnovamento” due facce della stessa medaglia di una politica che finiva inevitabilmente per contrastare e far esplodere le contraddizioni del Partito comunista nella maniera più intelligente e, intanto, richiamava energie nuove, si rivolgeva ai giovani, alle categorie economiche e sociali, al mondo della cultura con disponibilità rinnovata.
Per noi quella prospettiva, che comunque ne riceveva un fortissimo contraccolpo, non era finita il 16 marzo 1978 in Via Fani. Qui la sostanziale differenza con Carlo Donat Cattin.
Non a caso, “Confronto e rinnovamento” divenne il titolo del foglio che fondai su incarico di Galloni e di Bodrato, la cui redazione fu ricavata all’ultimo piano di Via della Vite 7, dove finimmo per acconciarci dopo lo “ sfratto” da Piazza del Gesù.

Una visione del tutto opposta a quella ruotante attorno all’idea di puntare su di una politica giocata esclusivamente sulla mera occupazione del gangli del potere dello Stato, dei vertici delle industrie di Stato, sull’insieme della cosa pubblica la quale, dopo la vittoria del “ Preambolo”, raggiunse invece il punto più alto e cominciò a lastricare la strada diretta verso la fine.

Inevitabilmente, vennero creati i presupposti perché si avviassero le prime grandi inchieste giudiziarie, rivelatrici di furiose lotte tra correnti, tra partiti, tra gruppi d’interesse; perché Berlinguer risolvesse le contraddizioni interne al Pci abbandonandosi al solo agitare della “ questione morale”, la quale ebbe il grande demerito di riguardare solo gli altri e non, come avrebbe poi dimostrato pure “ Mani pulite”, anche il suo stesso partito ed il suo ramificato sistema di potere; perché Bettino Craxi potesse scegliere decisamente un atteggiamento che puntava ad ottenere il consenso sulla sola base della muscolatura, enormemente più sviluppata della necessaria coerenza tra fini annunciati di riformismo del sistema politico istituzionale e gli strumenti a tal fine utilizzati.
E’ chiaro che in questa sede non posso che limitarmi ad una precisazione sommaria. Ho scritto anche troppo a lungo senza fare il mestiere del ricercatore, portando cioè più dettagliati dati di fatto, date, nomi, cifre, e purtroppo, lo dico con amarezza, altro…. Rimando quindi a quegli approfondimenti che, spero vivamente, degli storici volenterosi vorranno produrci.

E’ d’obbligo, però, concludere ricordando, proprio perché è necessario provare sempre ad essere equilibrati nel giudizio, che Carlo Donat Cattin è stato uno dei più significativi uomini politici italiani. Probabilmente, se fosse stato allora ancora in vita, e con lui Giovanni Marcora, non avremmo visto scomparire così ignominiosamente, così come è accaduto, la Democrazia cristiana.

E’ stato l’uomo che in tempi moderni ha meglio rappresentato la cosiddetta “ sinistra sociale” del mondo cattolico democratico. Egli seppe con il socialista Brodolini dare al “ rivoluzionario” Statuto dei lavoratori valida sostanza ed efficace concretezza.
Ha dimostrato grande capacità di azione politica nel raccordo con il sindacato cristiano. Al momento opportuno ha sostenuto l’azione di Aldo Moro condividendone lo spirito di rinnovamento. Ha, infine, vissuto con grande dignità dei momenti difficili nella vita privata.
Peccato che il suo nome, e la sua calligrafia, siano oggi pure legati ad un passaggio sbagliato, traumatico per il partito. Un passaggio pesante, ma effimero.
Non è un caso che solo poco tempo dopo la Dc dovette fare dietro front e mettere la parola fine ad una maggioranza che guardava soprattutto all’indietro.