12.1 C
Roma
sabato, 8 Novembre, 2025
Home GiornaleIl problema è chiudere l’epopea della “rivoluzione giudiziaria”

Il problema è chiudere l’epopea della “rivoluzione giudiziaria”

Il referendum sulla giustizia dovrebbe segnare il punto di svolta dopo decenni di scontro politico-giudiziario: non più deriva moral-giustizialista, ma ritorno necessario a un confronto istituzionale normale e adulto. È possibile?

Il dibattito sull’ormai prossimo referendum sulla giustizia è destinato, purtroppo, a radicalizzare sempre di più il confronto politico. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare talmente è sotto gli occhi di tutti i cittadini. Tranne quelli che vivono con i paraocchi ideologici e con il pregiudizio politico e personale.

Radicalizzazione del confronto

C’è uno schieramento politico, il cosiddetto “campo largo” della sinistra progressista, appoggiato dall’ANM e dalle componenti politiche e culturali più radicali e massimaliste della società italiana, che ha un solo ed esclusivo obiettivo. E cioè, abbattere il Governo guidato da Giorgia Meloni e archiviare definitivamente ed irreversibilmente la coalizione di centrodestra. Altrochè il “merito” della questione e la centralità dei quesiti. E diventa, di conseguenza, quasi naturale prendere atto che la politicizzazione estrema del prossimo referendum, frutto di una massiccia e persin violenta radicalizzazione del conflitto politico, è ormai un dato di fatto. Oggettivo e quasi indiscutibile.

Una pagina da chiudere

Ora, però, e alla luce di questa concreta situazione politica, forse è arrivato anche il momento – parlando proprio del prossimo referendum sulla giustizia – per archiviare definitivamente ed irreversibilmente quella deriva che va sotto il nome di “rivoluzione giudiziaria”. E questo proprio sul sempre più delicato e complesso tema del rapporto tra la magistratura e la politica italiana. Nello specifico, tra la coalizione di centrodestra da un lato e l’alleanza tra la sinistra progressista e alcuni settori della magistratura dall’altro. Certo, il tema è antico perché esisteva già sin dai tempi della prima Repubblica con la Dc e i suoi alleati da un lato e la sinistra comunista con i suoi profondi legami con settori della magistratura dall’altro. Fenomeno che è poi esploso con “mani pulite”, come tutti ben sappiamo, e che è divampato dopo la vittoria del centrodestra e non si è più arrestato.

 

Ritorno alla fisiologia democratica

Ma, al di là delle concrete vicende politiche che sono note a tutti, osservatori interessati e pubblica opinione anche se distratta, è abbastanza evidente che adesso una pagina – che ormai è diventata storica – si dovrebbe chiudere definitivamente. Uso il condizionale perché, purtroppo, è sempre al centro della disputa e del dibattito politico. E cioè, vanno anche archiviati slogan e parole d’ordine che hanno contribuito negli anni ad inquinare il dibattito politico e a spezzare un normale e fisiologico rapporto tra la politica, le stesse istituzioni democratiche, con la magistratura ai vari livelli. Ed è per queste ragioni, semplici ma essenziali, che termini come “rivoluzione giudiziaria”, “battaglia campale” o “scontro frontale” devono cedere il passo ad un normale, fisiologico e naturale confronto di merito.

Spezzare il circuito vizioso

Ma questo obiettivo sarà possibile centrarlo solo se si spezzeranno definitivamente ed irreversibilmente ogni rapporto preferenziale tra la magistratura e settori ben circoscritti e definiti della politica italiana. Cosa che, purtroppo, oggi non esiste. E l’inizio della campagna elettorale sul referendum lo conferma in modo persin troppo plateale da essere anche solo commentato o approfondito. Ma, come si suol dire, “la speranza è l’ultima a morire”.