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lunedì, 10 Novembre, 2025
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Il riformismo nel Pd? Missione quasi impossibile

Il dibattito ciclico sul riformismo dentro il Partito democratico resta confinato a minoranze interne che resistono ma non incidono. La leadership di Schlein ha spostato definitivamente l’identità del Pd.

Il simpatico, nonchè divertente, dibattito che periodicamente riaffiora nel Pd sulla necessità di far vivere qualche barlume di cultura riformista, è destinato puntualmente a concludersi con una sorta di astratta e virtuale evocazione di un ‘sentiment’ che purtroppo è da tempo evaporato.

 

Lillusione del riformismo carbonaro

Del resto, i suddetti riformisti ogni qualvolta si trovano in qualche località italiana, peraltro sempre più o meno con uno stile carbonaro e senza tante ambizioni di alzare l’asticella, il dibattito si conclude con le stesse ambiguità dell’inizio. E cioè, sintetizzo per i non addetti ai lavori. Ci rendiamo conto che l’attuale segretaria Schlein ha cambiato radicalmente l’identità, la natura, il progetto e la prospettiva del Partito democratico. Ma noi, aggiungono questi riformisti, purtroppo dobbiamo rimanere qui per continuare ad avere il nostro spazio nelle istituzioni. Tradotto: per farci dare una manciata di seggi parlamentari dall’attuale gruppo dirigente del partito.

Ora, al di là di ogni polemica politica e di ogni pregiudizio personale, almeno due valutazioni non possiamo non farle, anche alla luce della concreta condizione in cui versa l’attuale Pd guidato dalla radicale e massimalista Schlein.

Il Pd non è più il Pd originario

Innanzitutto il Pd non è più, ormai da tempo, l’antico partito democratico, riformista, plurale e di centro sinistra. Le quattro condizioni essenziali, cioè, che hanno rappresentato e costituito l’ossatura centrale dell’identità del partito nato nel lontano 2007 con l’ormai famoso intervento di Valter Veltroni al Lingotto di Torino. Un partito autenticamente e compiutamente riformista che, non a caso, aveva anche l’ambizione di farsi interprete nella cittadella politica italiana della cosiddetta “vocazione maggioritaria”.

In secondo luogo il Pd era un partito seriamente e strutturalmente plurale. E, del resto, era realmente la sintesi delle migliori culture riformiste e democratiche del nostro paese. Da quella cattolico democratica e popolare a quella della sinistra ex e post comunista; da quella laica e liberal/azionista a quella verde e ambientalista.

Oggi che cos’è il Pd?

Alla luce di queste due sole considerazioni, che cos’è oggi – cioè da ormai molto tempo – il Pd? Molto semplicemente, è il principale partito della sinistra italiana, espressione della cultura e dell’universo valoriale della sinistra. Riflette, cioè, e giustamente e coerentemente, il progetto con cui Elly Schlein ha vinto le primarie nel 2023. Quindi, nessuna contraddizione rispetto a quell’impianto ideologico e culturale. E, non a caso, quel progetto è perfettamente compatibile ed omogeneo con le altre sinistre italiane. Cioè, con la sinistra populista e demagogica dei 5 stelle di Conte, con la sinistra estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e con la sinistra classista e pan sindacale del capo della Cgil Landini. È persino inutile ricordare che la cultura riformista e centrista è perfettamente estranea ed esterna rispetto a tutto ciò.

Picierno vs Dorotei 2.0

Ecco perché, proprio quando si parla di “riformisti e di riformismo nel Pd”, o prevale la linea – intelligente, coraggiosa ed ambiziosa – di Pina Picierno ed altri di impegnarsi sino in fondo e con coerenza affinché il Pd torni alla sua vocazione originaria di un partito autenticamente riformista e democratico e di governo oppure, e al contrario, ha il sopravvento la strategia dei Del Rio e Guerini di turno. Ovvero, accontentarsi – fingendo di alzare la voce ma non troppo, come ovvio – della gentile elargizione di una manciata di seggi parlamentari a conferma della natura plurale del Pd.

Quale sarà il futuro della sinistra?

Ad una condizione però. E cioè, che non si disturbi mai il manovratore. Di qui, del resto, gli incontri prevalentemente carbonari che, come da copione, non mettono mai realmente in discussione il progetto politico del partito. Insomma, una sorta di stanca e moderna riproposizione degli antichi “cattolici indipendenti” eletti nella fila del Pci negli anni ‘70 e ‘80. Nulla di più e nulla di meno.

Per queste ragioni, è interessante vedere se prevarrà la sfida, coraggiosa e coerente, di Pina Picierno o se, purtroppo, avrà la meglio l’approccio Doroteo e di potere dei Delrio di turno. In discussione, infatti, c’è il futuro e la prospettiva politica di un grande partito come il Pd e non solo, e soltanto, la sistemazione personale e di potere di qualche eterno candidato.