“Come un sasso che l’acqua tira giù, Io mi perdo nel blu/ Degli occhi tuoi/ La mia libertà/ Non la voglio più/ Amo il bianco e tu/ Sei candida” . Con queste parole la band rock beat dei Dik Dik nel 1970 apre “Io mi fermo qui”. Anni di speranze, di sogni, di desideri, di riscatto ma anche di permanenza e di stabilità. Mentre allora movimenti storico-politici sconvolgono l’umanità e i Beatles di Let it Be annunciano lo scioglimento, qualcosa muta, cambia, si evolve tra nostalgia e malinconia.
I Dik Dik annunciano un romanticismo realistico, vero, autentico ma anche l’esigenza di connessione, di relazione e di costruzione di una “comunità nuova”. Si riparte da un “non luogo”, dai sotterranei dell’anima per ricongiungersi con l’amore civico, quella solidarietà ritrovata tra i popoli, diremmo oggi con le parole di Papa Francesco quel “tutto è connesso”. Ma da dove ripartiamo per lo sviluppo umano integrale della persona? “Si, io mi fermo qui/ Qui dove vivi tu/ No, più non cercherò/ Un altro nido ormai”. Non è l’assolutismo umanistico della stasi, della stanchezza popolare che non conosce protesta e rivolta. Al contrario. Fermarsi per pensare, riflettere, programmare, progettare. Nessuno si salva da solo.
È la connessione riformista comunitaria della ripartenza. È la città della persona per la persona. Non cercare un altro nido ma cercare insieme soluzioni per il progresso comune nell’amicizia civica e nell’amore solidale della ricerca del bene comune. La carica emotiva del vocalist dei Dik Dik ha ispirato la versione rock di altri gruppi contemporanei, ma la poesia di questo brano resta scolpito nella memoria di chi c’era negli anni ’70 ma anche di coloro che oggi si avvicinano ad un genere rock beat che segna una poetica sonora sempre attuale. Ascoltare il ritmo del brano è comprendere che nel 2023 come allora è in gioco la dignità di noi stessi. La nostra responsabilità civica e sociale allo stesso tempo. “Quel gabbiano che si nasconde in me/ più non volerà in Africa/ Quando sto con te/ Sento dentro me/ Che tu abiti ormai nell’anima”. La riconciliazione con la natura, con l’ambiente, con il Pianeta, è la proposta della persona “nuova”, di un umanesimo integrale che mentre si “ferma” si prepara per il lancio, per il dinamismo, per la ripartenza.
C’è un fuoco che anima la passione sociale, l’umanesimo dell’impegno, la comunità solidale, quella passione e desiderio di “ri-costuzione” dell’umanesimo sociale. I Dik Dik ci donano una preghiera “rock beat” tra voce soave e armonie alla batteria con richiami progressive dell’epoca, dove il valore romantico dell’amore si intreccia con l’idea che è il tempo del rilancio, della scoperta, della connessione sociale con la persona. La ricerca del bene comune, diventa permanente e dirompente, forma ponti e noi siamo frontiere senza confini, uniti dalla speranza che un mondo migliore è possibile: “Tu sei l’acqua dopo il fuoco / Non ti lascio più”.