Articolo pubblicato sulle pagine di Orbisphera a firma di
Sono più di vent’anni che, come giornalista, seguo i Sinodi che si sono succeduti nel corso degli ultimi tre pontificati.
Tutti diversi, ognuno con proprie peculiarità e risultati, ma un Sinodo come quello appena concluso in Vaticano non ha precedenti.
Tutti i Sinodi hanno avuto una partecipazione composita, ma mai come questo Sinodo, che ha visto la presenza di una grande varietà di soggetti appartenenti non solo alla Chiesa cattolica.
Sono arrivati a Roma scienziati, esperti di ecologia e climatologia, rappresentanti di popoli dell’Amazzonia, esponenti di ONG, consiglieri di Agenzie dell’Onu, suore impegnate in associazioni per il rispetto dei diritti umani, esperti di teologia e spiritualità indigena…
Al Sinodo hanno partecipato 35 donne (il numero finora più alto per un Sinodo), 6 delegati fraterni, 12 invitati speciali, 25 esperti, 55 tra uditori e uditrici, 17 rappresentanti di etnie indigene.
In termini ecclesiali, mai come in questo Sinodo sono arrivati vescovi e sacerdoti dalla periferia della Chiesa, per lo più appartenenti a diocesi ubicate nei nove Paesi nei quali si estende la foresta panamazzonica. In massima parte persone che partecipavano per la prima volta a un Sinodo.
Su 184 padri sinodali, 113 sono arrivati dalle diverse circoscrizioni ecclesiastiche panamazzoniche.
Sono stati diversi i vescovi che in Sala Stampa hanno ringraziato il Signore ed il Papa, perché mai avrebbero pensato di poter partecipare a un Sinodo della Chiesa universale.
Anche i capi dicastero di Curia hanno raccontato di un Sinodo entusiasmante, con tanta vivacità e passione.
A questo proposito è interessante notare che, mai come in questa occasione, i padri sinodali, anche in presenza di punti di vista diversi, sono stati concordi nel definire l’atmosfera del Sinodo molto positiva. “Un Sinodo ispirato e benedetto dallo Spirito Santo”, ha detto il Papa.
Le diverse proposte, anche le più radicali, sono state discusse serenamente e con rispetto reciproco al fine di trovare una soluzione comune e condivisa.
Tanti i temi in discussione: la difesa dei diritti umani degli indigeni, come rispondere alla mancanza di sacerdoti per la cura delle comunità cristiane sparse sul territorio, come portare i sacramenti in modo continuativo, il ruolo dei diaconi e delle donne, un nuovo modo di proporre l’evangelizzazione, la cura del Creato per evitare disastri ambientali a livello planetario, ecc.
Il punto centrale delle discussioni è stato il superamento del modello culturale e religioso, di carattere coloniale e neocoloniale, che tanti danni ha fatto – e continua a fare – ai popoli indigeni, alla foresta amazzonica e alla stessa Chiesa cattolica.
Diverse e dettagliate le testimonianze dei popoli indigeni, che vengono discriminati, espulsi dalle loro terre, cancellati come cultura e come etnia, sovente uccisi, mentre le donne sono sfruttate sessualmente e schiavizzate.
Vescovi, missionari, religiose e religiosi hanno denunciato la presenza di imprese multinazionali che bruciano la foresta, rubano le terre, cacciano gli indigeni, scavano miniere in modo violento, inquinante e illegale.
È in questo contesto che i padri sinodali si sono interrogati per trovare nuove strade di evangelizzazione, libere dai pregiudizi e dalla cultura coloniale e neocoloniale.
Il documento finale ha fornito risposte non solo alle diocesi panamazzoniche ma al mondo intero, proponendo un modo più avanzato di testimoniare la buona novella del Vangelo.
Ha detto Papa Francesco: “Trasmettere la fede non è fare proselitismo, ma fondare un cuore nella fede in Gesù Cristo”.
San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi ha scritto: “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo”.
Per tutti questi motivi dal Sinodo emerge una Chiesa più aperta e bella che non è quella perduta, ma quella che si sta realizzando attraverso una rinnovata spinta missionaria “in uscita”.