Il presepe francescano e quello napoletano raccontano due storie che si completano. A Greccio, al tempo di Papa Onorio III, Francesco d’Assisi, nel 1223, realizza il primo presepe vivente, mettendo in scena il racconto della Natività: l’essenziale, con la mangiatoia, il bue e l’asino. Il mistero di Dio entra nella storia nella forma più fragile, concentrandosi sull’istante sacro in cui il divino diventa visibile.
Il presepe napoletano, fiorito tra Seicento e Settecento, compie un passo ulteriore: non isola il sacro, ma lo immerge nel mondo. Le strade si affollano, le botteghe si aprono, le osterie risuonano di voci. La grotta, spesso, non domina la scena, restando un silenzioso centro attorno a cui tutto continua a vivere.
Anche il pescatore e il cacciatore
Nel corso del tempo, questa rappresentazione dell’umanità si arricchisce di figure e situazioni proprie della cultura artistica e popolare: nei presepi, trovano il loro posto statuine come il pescatore e il cacciatore. Il pescatore, intento a gettare la rete – probabilmente un richiamo a San Pietro – rappresenta la vita e la speranza che continua nonostante tutto. Il cacciatore, invece, incarna la morte, la natura crudele e inevitabile.Non possono mancare i Re Magi, poi i musicisti – in particolare gli zampognari – la lavandaia, simbolo della purezza e della verginità di Maria, l’oste, la pollivendola, i compagni di bevute e altri personaggi.Ognuno di loro, così come gli animali, il mercato, il fiume e il ponte, porta un messaggio simbolico: tutto, in una notte gelida, ruota attorno alla Sacra Famiglia. Giuseppe e Maria trovano ospitalità grazie alla bontà di un umile pastore, Gelindo, che apre loro la sua stalla, dove riposa un bue.
Il sonno come origine del mondo
Tra i personaggi più affascinanti e simbolicamente potenti delle raffigurazioni presepiali spicca il pastore Benino. Non è un caso che due tra i più celebri capolavori scenici della tradizione si aprano con un personaggio addormentato: nella Cantata dei Pastori di Andrea Perrucci (1698), la scena iniziale è occupata da Benino, figlio di Armenzio, immerso in un sonno profondo. La sua figura si ispira al passo evangelico che narra l’annuncio degli Angeli ai pastori dormienti. Nel presepe, Benino viene raffigurato disteso all’ombra di un albero, e la tradizione popolare vuole che tutto il presepe nasca dal suo sonno: le colline e i sentieri, i pastori in cammino, persino la luce che illumina la grotta. Se Benino si svegliasse, il presepe svanirebbe.
La Cantata dei Pastori conserva ancora oggi la sua vitalità, essendo rappresentata a Napoli e in altre province meridionali come narrazione collettiva che intreccia memoria storica e attualità.
Due secoli dopo, Eduardo De Filippo apre Natale in casa Cupiello(1931) con Luca Cupiello addormentato. Anche lui sogna un presepe, un mondo ordinato e riconciliato mentre intorno la realtà si mostra fredda e dolorosa. Benino e Luca Cupiello si rispecchiano a distanza di secoli: entrambi dormono, entrambi tengono in vita un mondo fragile che potrebbe dissolversi al risveglio. Il presepe esiste finché qualcuno continua a sognarlo.
La Meraviglia
Se qualcuno dorme, qualcun altro si ferma. È il pastore della Meraviglia: non porta doni, non sa cosa offrire, resta immobile con le braccia aperte e lo sguardo spalancato. La leggenda popolare narra che viene rimproverato per essersi presentato a mani vuote ma viene difeso dalla Vergine: il suo dono è lo stupore, un’emozione ingenua, pura, quasi infantile, che afferma che davanti al mistero non tutto deve essere spiegato.
Stefania e la ferita che arriva alla grotta
Tra i sentieri compare Stefania, pastorella senza figli. Per vergogna – anticamente alle donne nubili era vietato visitare chi aveva appena partorito – nasconde una pietra sul ventre, fingendo di essere incinta per avvicinarsi alla grotta. Il giorno dopo Natale, la pietra si trasforma in un bambino: Stefano, il primo martire, celebrato il 26 dicembre. Il miracolo non cancella la ferita, ma la attraversa. Stefania rappresenta l’umanità che cerca di mascherare il dolore e che, proprio dove teme il rifiuto, trova accoglienza.
Una sospensione cosmica
Il presepe è una sospensione del tempo. È notte, ma non passa. Tutti si muovono, ma nulla si conclude: il mondo trattiene il respiro davanti a un punto fragile, un bambino nella paglia. Accanto alla mangiatoia, il bue e l’asino custodiscono la vita: il bue, paziente testimone del mistero el’asino, paradossalmente regale, re che entra nella storia senza trionfo.
Un sogno che ritorna
Forse ogni presepe domestico è ancora il sogno di Benino o quello di Luca Cupiello: un mondo fragile fatto di muschio, luci e gesti ripetuti. Sappiamo che durerà poco, che verrà smontato, ma anche che tornerà. Come Geppetto nella sua bottega, creiamo la vita da un sogno ostinato. Nella favola di Pinocchio, il povero falegname realizza un burattino da un pezzo di legno imperfetto; eppure lo immagina figlio prima ancora che lo diventi davvero. Il presepe funziona allo stesso modo: è un mondo fatto a mano, fragile e provvisorio, che prende vita solo perché qualcuno decide di crederci, almeno per un po’.
Sarà anche per questo che, nei presepi di casa, accanto ai personaggi canonici compaiono figure intime, quasi segrete. Nel mio presepe, ogni anno non può mancare la statuina del ciabattino, un piccolo omaggio a Emilio, il calzolaio del mio paese a cui ero tanto legato da bambino. Ci passavo spesso durante l’anno, ma nei freddi inverni mi trattenevo più a lungo: Emilio teneva il piccolo braciere sotto il suo banchetto, e io mi scaldavo lentamente, respirando l’odore intenso di fumo e colla che si mescolava a quello dell’umido e al suo sguardo malinconico. Seduto accanto a lui, ascoltavo le sue storielle e osservavo le sue mani induriteridare vita a ciò che sembrava perduto. Ancora oggi, quel volto, quel mestiere e quella memoria non sono solo semplici ricordi: vivono nel racconto del presepe, portando con sé l’affetto di chi li custodisce.
Ogni statuina è un ponte tra sacro e vissuto
Il presepe non riproduce Betlemme fedelmente, ma trova un posto per lenostre storie dentro una storia più grande. Ogni statuina aggiunta è un ponte tra sacro e vissuto, tra mito e memoria.
Alla fine, costruire il presepe significa continuare il sogno di Benino, tenere viva la fragile speranza di Luca Cupiello o dare forma al gesto di Geppetto.
Finché qualcuno, ogni Natale, prenderà il tempo di far nascere di nuovo quel piccolo mondo, continuerà a raccontare la meraviglia di un sogno che ritorna.

