Verrebbe quasi da dire che c’era un tempo l’unità sindacale. Ovvero, l’unità tra le grandi confederazioni del sindacato italiano: la Cgil, la Cisl e la Uil.
Certo, tutti conosciamo – e lo si dice senza alcuna polemica – il profilo e la personalità di alcuni grandi leader del sindacalismo del nostro Paese del passato rispetto a quelli contemporanei: da Franco Marini a Luciano Lama, da Giorgio Benvenuto a Pierre Carniti, da Bruno Trentin a Pietro Larizza e molti altri.
Ma non è sul profilo dei vari leader sindacali che si deve richiamare l’attenzione. Semmai, la riflessione va concentrata sulle ragioni che hanno portato al superamento, se non addirittura all’archiviazione, della storica unità sindacale.
Le cause della frattura
La ragione fondamentale consiste nella progressiva trasformazione del ruolo, della mission e della funzione di alcune organizzazioni sindacali – nello specifico, della Cgil.
È un fatto oggettivo che lo storico e glorioso “sindacato rosso” sia diventato, a tutti gli effetti, un vero e proprio attore politico.
Fa parte organica del cosiddetto campo largo, cioè della coalizione di sinistra e progressista; partecipa attivamente e quotidianamente al dibattito su tutti i temi che sono in cima all’agenda politica del Paese; organizza manifestazioni e scioperi che prescindono radicalmente dagli interessi concreti e immediati dei lavoratori – che dovrebbero essere, comunque la si pensi, gli interlocutori privilegiati di un’organizzazione sindacale – e, infine, attacca sistematicamente un governo che ritiene un avversario sociale e un nemico politico e ideologico.
Il modello alternativo della Cisl
A fronte di questo comportamento politico, c’è un’altra organizzazione – la Cisl – che interpreta il ruolo del sindacato in modo diametralmente alternativo.
Resta fedele alle radici storiche di un sindacato che punta al merito delle questioni sul tavolo; che non coltiva pregiudiziali politiche o ideologiche nei confronti del governo di turno; che fa della contrattazione locale e nazionale la propria ragion d’essere; che non è organicamente legato a nessun partito o coalizione; che non partecipa alla costruzione di un’alternativa politica a un governo considerato nemico di classe e che, infine, lavora concretamente per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e dei ceti popolari.
Insomma, l’esatto contrario di ciò che fa, ormai da molti anni, la Cgil a guida Landini.
La posizione della Uil
La Uil, infine, dopo aver assecondato per molto tempo la strategia politica e “frontista” della Cgil di Landini, ultimamente ha ripreso a declinare un ruolo più tradizionale: quello di un sindacato che concentra l’attenzione sui principali problemi al centro del confronto tra le parti sociali e il governo.
Cercando sempre, come ricordava l’indimenticabile Franco Marini, “di chiudere i contratti” e non soltanto “di evocarli”.
L’unità sindacale come valore da ritrovare
Ecco perché, senza alcuna pregiudiziale o forzatura, è evidente che l’unità sindacale – sempre auspicabile e necessaria – non è semplice da ricostruire, in un clima che registra una distanza quasi siderale tra le varie concezioni del ruolo e della mission del sindacato nella società contemporanea.
Purtroppo, l’assenza di una vera e convinta unità sindacale è anche all’origine di una crisi della qualità della democrazia, come ricordava spesso proprio un grande leader politico e sindacale, Carlo Donat-Cattin.
Un’unità che, comunque sia, va coltivata e sempre ricercata. Anche al di là di ciò che pensano i singoli leader e capi sindacali del momento.

