Chiodo schiaccia chiodo, nel senso più doloroso dell’avvicendamento degli eventi: basta ripercorrere fatti ed avvenimenti dell’ultimo anno per cogliere una forte accelerazione nella disgregazione della realtà in termini ubiquitari. Come se la ruota della storia che ci aveva abituato ad una ciclicità persino annunciata fosse uscita dal perno che la sorreggeva per frantumarsi in una implosione scomposta e imprevedibile.
A livello geopolitico e geoeconomico si stanno configurando scenari imponderabili e dagli esiti indefiniti.
Guardando a ritroso e intorno a me mi è venuto in mente l’aforisma scolpito sull’architrave all’ingresso della baita di Martin Heidegger, nella Foresta Nera: “Il fulmine governa ogni cosa” . Ce ne riferisce Hans-Georg Gadamer nel suo “Eraclito”, ma l’intuizione che mi ha riportato al filosofo tedesco del 900 mi ha fatto pensare a lui come depositario di alcune profezie che riguardano il presente, a cominciare proprio da quell’insolubile unità e dualità di svelamento e nascondimento, di luce e oscurità, in cui il pensiero dell’uomo si trova avvolto. E’ come se la filosofia si riappropriasse di un codice semantico che le è lungamente appartenuto, per provare a spiegare una serie di cortocircuiti che stano scompaginando la nostra vita. Non posso dimenticare lo ‘spaesamento’ di cui da oltre trent’anni ci parla Gianni Vattimo (La società trasparente è del 1989), né dimenticare la geniale intuizione di Zygmunt Bauman e dalla sua società liquida, o trascurare da quanto tempo Umberto Galimberti si occupa della lunga parabola della metafisica che da Platone fino ad Heidegger, appunto, ha finito per far prevalere il pensiero calcolante e con esso la tecnica e l’economia, fino a preconizzare il tramonto dell’Occidente e a interrogarsi sul senso della vita.
L’uomo non è tuttavia solo razionalità, la dimensione del reale esistenziale non è solo oggettiva: ci sono la fantasia, l’immaginazione, l’ideazione, il desiderio, il sogno. Ciò che Heidegger appunto chiamava il “Dasein” , cioè l’esser-ci, l’hic et nunc che non è mai tuttavia a-storico. Ma questa soggettività che vuole spazio e si ribella disvela anche tratti di negatività: l’ipertrofia dell’io, il subentro delle opinioni alle idee, il relativismo etico, mentre il discostamento del pensiero divergente dall’ordine delle cose finisce per scompaginare i processi stessi di consolidamento ed emancipazione della democrazia.
Se “il fulmine governa ogni cosa” Nerone incendia Roma e Trump incita all’assalto del Campidoglio, senza contare che anche in casa nostra molte vicende inspiegabili razionalmente andrebbero portate, come disse un giornalista in un talk show televisivo, sul lettino dello psicanalista.
Ecco allora che la grande intuizione profetica di Martin Heidegger, che deve l’appartenenza ad un esistenzialismo atipico connesso alla temporalità del ‘qui e adesso’ per la visione soggettiva e non oggettiva della realtà e proprio per la sua tessitura di opposti e di contrari che si attraggono e si respingono, può spiegare come ciò che accade o può accadere su questo dannatissimo pianeta sia legato a fattori talmente soggettivi da diventare impersonificati e sottesi a tratti caratteriologici o ad un inconscio da esplorare.
Trovo che questo sia il principale pericolo che una democrazia reca inevitabilmente con sé: gli eventi e gli equilibri che reggono l’ordine mondiale, le istituzioni, i trattati, le intese, gli assetti politici dei Paesi e il radicamento storicamente raggiunto delle Nazioni, possono essere messi in discussione, assumere una svolta, prendere un indirizzo per il narcisismo impenetrabile e teatrale di una sola persona.
Figuriamoci se tutto questo avviene in tempo di pandemia: trovo scioccante che la personalizzazione della politica e la sua astrazione dal contesto pulsante della platea immensa dei popoli, riesca persino a bypassare la vita e la morte, a subordinare la scienza, i suoi tempi, le sue conquiste, le sue scoperte e le possibili sue garanzie, ignorando i pericoli e le sofferenze di un big crash planetario.
Nella sua analisi razionale, frutto di una capacità interpretativa della realtà svincolata dal pensiero calcolante degli interessi personali, Mario Draghi ha dato una ricetta ai mali della politica, che vale per noi ma può essere esportata al mondo intero: conoscenza, coraggio e umiltà. Possiamo aggiungere sommessamente: responsabilità e competenza, ma quella sintesi è già efficace di per sé.
Ma se la politica, l’economia, la tecnica non poggiano su una solida base etica possiamo cadere in uno sterile specialismo non sorretto da alcun valore.
Ecco perché il primo discrimine tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, il tornaconto personale e l’interesse comune non può non passare necessariamente al vaglio della coscienza morale.
A condizione che tra oggettività del necessario e soggettività della scelta, ci sia una mente pensante capace di aver memoria del passato, consapevolezza del presente e lungimirante visione del futuro.