Il viaggio del Papa in Iraq A colloquio con il patriarca Sako

Francesco fra noi dà forza al desiderio di cambiamento

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Stefano Leszczynski
e Debora Donnini

Il cuore dell’Iraq batte forte per l’arrivo in giornata di Papa Francesco. E se fra i cattolici è chiaramente grande la gioia e fervono i preparativi, anche fra i musulmani, che rappresentano circa il 98,5% della popolazione, e più in generale fra gli iracheni, si respira un clima di emozione.

A testimoniarlo è il cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, che intervistato da Radio Vaticana – Vatican News restituisce l’intenso clima di attesa generato dal viaggio apostolico. Una visita che è una semina di speranza tanto necessaria in quella terra per costruire un futuro migliore — perché, come affermato da Francesco stesso nel videomessaggio agli iracheni — egli viene come «pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo». Un «pellegrino di pace in cerca di fraternità» che intende pregare e «camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani».

Qual è lo stato d’animo con cui la comunità cristiana dell’Iraq si prepara ad accogliere Papa Francesco?

Personalmente, sono molto colpito. Già prima della visita tante cose sono cambiate. I musulmani sono entusiasti: hanno preparato le bandiere, hanno anche composto canti. Una persona ha realizzato un poster di più di 10 metri con la foto del Papa e una frase in inglese che dice «Francis, you are welcome in Iraq»! Sono cose che noi non abbiamo vissuto. Anche le strade sono state decorate; alcuni musulmani hanno scritto su Facebook: «Santo Padre, se potesse ritardare un po’ la sua visita perché possano pulire le nostre strade e restaurare le scuole eccetera…». Dunque, c’è un’attesa così forte da parte di tutti per un cambiamento. Ma anche i cristiani hanno preparato i luoghi dove andrà, le chiese, la liturgia… c’è un’attesa straordinaria!

La vita dei cristiani in Iraq, negli ultimi decenni, non è stata affatto semplice, anzi, è stata costellata di tragedie e di un forte esodo verso l’estero. Come è ora la situazione, e quali sono le attese specifiche da parte della comunità cristiana?

I cristiani, ma non solo, anche tutti, tutti gli iracheni, hanno pagato cara la situazione. Penso sia necessario chiudere questa pagina e aprirne una nuova, con tanta speranza. Tutti gli iracheni. Il Santo Padre parlerà della fraternità umana e della fraternità spirituale quando andrà a Ur, la terra di Abramo, ma parlerà anche della speranza, della fiducia, della solidarietà e della collaborazione di tutta la popolazione per un futuro migliore. I cristiani anche devono uscire dal loro complesso e dalle loro paure e preoccupazioni e devono aprirsi. Qui c’è tanta gioia da parte di tutti.

Lei ha citato le paure della comunità cristiana. Quali sono queste paure?

Sono le paure antiche: io non dico di ora, perché adesso non c’è niente contro i cristiani, non ci sono attentati, ma paure… La stabilità del futuro, i servizi, la giustizia, uno Stato di diritto, di cittadinanza dove ovunque uno si trovi, senta che l’Iraq è la sua casa e che gli iracheni sono suoi fratelli e sorelle. Uno Stato secolare e democratico… È un progetto, ma verrà, verrà: io ne sono sicuro!

Il Paese è alla ricerca di una strada per la riconciliazione nazionale. Che ruolo ha la popolazione più giovane dell’Iraq?

Hanno avuto un impatto molto grande: hanno cambiato un governo e finora le loro rivendicazioni sono attuali. Forse le elezioni future cambieranno la situazione. I giovani, dunque, sono presenti, sono forti. Anche loro hanno pagato caro, hanno pagato con il loro sangue. Dunque, il futuro non sarà come il presente.