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domenica, 4 Maggio, 2025
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Il volo spezzato del Grande Torino: una tragedia non solo del calcio

Alcune date segnano la storia di un Paese. Il 4 maggio 1949 l’aereo che riportava a casa la squadra si schiantava a Superga. La telecronaca dei funerali fu affidata al giornalista Vittorio Veltroni.

Ci sono delle date che sono destinate a segnare la storia di un paese. Per sempre. Nel caso specifico dello sport e del calcio. Parliamo del 4 maggio 1949, quando un aereo di ritorno da Lisbona si schianta contro una Basilica. La Basilica di Superga che controlla Torino dall’alto e dove concludono la loro vita i giocatori del Torino. Ovvero il Grande Torino, la squadra che con le sue gesta calcistiche ha riacceso l’entusiasmo degli italiani, di tutti gli italiani, negli anni che hanno seguito la fine della seconda guerra mondiale. E proprio nella anni ‘40 lo sport – il calcio e il ciclismo in particolare – è stato il vettore decisivo per far uscire gli italiani da una situazione drammatica con una condizione di vita altrettanto problematica. E sono anche le partite del Grande Torino che in quegli anni vince tutti gli Scudetti a cui partecipa nei diversi Campionati e le imprese ciclistiche di Fausto Coppi e di Gino Bartali gli interessi – se così si possono definire – che hanno portato gli italiani ad uscire da un contesto di crisi e di drammi continui ma con la voglia e la speranza di ripartire e ricominciare. Definitivamente. E il Grande Torino, guidato da capitan Valentino Mazzola e da altri 10 straordinari giocatori e campioni, ha rappresentato in quegli anni la speranza e, appunto, il ritorno della normalità di un paese civile. Ma il Grande Torino era qualcosa di più. Era la squadra che ha portato in Nazionale come titolari 10 giocatori su 11; era la squadra che brillava in tutti i campi italiani con risultati che segnalavano vittorie eclatanti; era la squadra, infine, che incarnava la voglia di ripartire degli italiani e con cui si identificavano.

E poi arrivò quel fatidico 4 maggio 1949. La società decise, su pressione del capitano Valentino Mazzola, di festeggiare l’addio al calcio di un mito del Benfica, il capitano della squadra portoghese e amico di Mazzola, Francisco Ferreira. Fu una partita divertente e con molte reti, che il Toro perse in maniera ‘cavalleresca’ per 4-3. Avevano pareggiato 0-0 in campionato con l’Inter a Milano alcuni giorni prima. Un risultato che aveva dato ai granata la quasi matematica certezza della vittoria dello Scudetto, il quarto campionato consecutivo. Dopodiché partirono per Lisbona.

Ma il ritorno si interrompe contro il muraglione della Basilica di Superga il 4 maggio del ‘49 alle 17,03 dove la carovana granata – e non solo granata – di tutta Italia ogni anno si raccoglie presso il luogo della tragedia per ricordare e celebrare i Campioni. Perde la vita, in quel giorno dominato da una pioggia torrenziale ed una nebbia avvolgente ed impenetrabile, l’intera squadra granata. Nell’incidente scompaiono anche i dirigenti della squadra e gli accompagnatori, l’equipaggio e tre giornalisti sportivi italiani. 31 persone in tutto. Il compito di identificare le salme fu affidato, con una pena infinita ed indicibile, all’ex commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo che aveva portato quasi tutto il Torino in Nazionale.

Per i funerali si parlò di 600 mila persone riversate per le vie di Torino. Presenti le altre squadre italiane con il giornalista Vittorio Veltroni che faceva la telecronaca della giornata e della funzione religiosa. Aprivano il corteo le autorità cittadine precedute da Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Ma la data del 4 maggio 1949 è diventata una pietra angolare e drammatica per lo sport nazionale, europeo ed internazionale. Il Grande Torino appartiene per sempre alla storia del calcio italiano e mondiale per il dramma che l’ha coinvolto. E per il calcio italiano il Grande Torino resta nel firmamento nazionale. E non solo dello sport.

Ecco perché, quando si parla oggi, e forse per sempre, del Grande Torino la riflessione più calzante e più significativa resta, senza enfasi, quella di Indro Montanelli vergata sulle pagine del Corriere della Sera il 9 maggio 1949: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”. E questo è, e resta, per noi granata e sportivi italiani, il Grande Torino.