Articolo già apparso sulle pagine di Vatican News a firma di Roberta Gisotti
30 anni fa, il 12 marzo 1989, la nascita del World Wide Web, così come era stato concepito dal suo ideatore, l’ingegnere informatico inglese, Tim Berners-Lee, giovane ricercatore del Cern di Ginevra; aveva 34 anni quando propose di organizzare in modo efficiente le innumerevoli informazioni che venivano raccolte durante gli studi nel più grande laboratorio al mondo di fisica nucleare, attraverso un sistema, basato su ‘ipertesti’ e ‘link’, che permetteva di collegare tra di loro diversi documenti contenuti nei computer.
Il mondo intero collegato in tempo reale
Due anni di lavoro e Berners Lee fu pronto, il 6 agosto del 1991, per rendere operativa l’idea: dopo avere scritto il codice del World Wide Web, aveva creato un nuovo linguaggio di programmazione chiamato Html (hypertext markup language), aveva dato ad ogni destinazione del web un nome specifico, chiamato Url (universal resource locator), e aveva progettato l’Http (hypertext transfer protocol): un insieme di regole che permettevano alle informazioni di essere scambiate in tempo reale su internet. I tempi erano maturi per estendere a tutti, gratuitamente, il protocollo del www, fatto storico che avvenne da parte del Cern il 30 aprile del 1993.
Condivisione, apertura, collaborazione
Cosa è rimasto oggi dei principi etici di condivisione, apertura e collaborazione che ispirarono Berners-Lee e tanti altri suoi colleghi che parteciparono a rendere reale un sogno che sapeva di magia? Il world wide web è stata un’innovazione non solo tecnologica ma culturale, che in tempo brevissimo ha globalizzato i saperi, invaso ogni ambito della vita individuale e collettiva, segnando l’inizio – secondo alcuni pensatori – di una nuova era antropologica. Nel frattempo lo scenario di riferimento è profondamente mutato e non offre garanzie adeguate di democrazia, di rispetto dei diritti umani, di sicurezza per gli utenti, come ha denunciato ieri lo stesso Berners-Lee, in un messaggio per l’anniversario. “Sarebbe disfattista – scrive – pensare che il web che conosciamo non possa eesere cambiato in meglio nei prossimi 30 anni. Se rinunciamo a costruire un web migliore ora non sarà il web ad averci deluso ma noi ad aver fallito”.
Un bene comune, senza regole, dominato da pochi soggetti
La rete nel terzo millennio è ormai abitata da oltre metà dell’umanità ma sono pochissimi i soggetti che la dominano e gestiscono, trattano tutti i dati sensibili delle persone e delle attività che vi si svolgono e ne traggono profitti. Ciò è avvenuto in assenza di regole che abbiano chiaramente definito e tutelato la natura di bene comune della rete, salvo poi tentare di legiferare in ritardo, quando i poteri già costituiti risultano un fortino inespugnabile per parlamenti e governi, attraversati da pressioni lobbistiche di interessi mediali, economici e politici collegati. Di questa identità sovranazionale fuori controllo degli Stati, si sono approfittate anche le organizzazioni criminali, insediatesi nel cosiddetto deep web, oltre 500 volte più esteso di quello emerso, dove si traffica di tutto protetti dall’anonimato, contrastati con grande difficoltà dalle Polizie postali, che stentano a collaborare e a trovare strategie comuni di lotta sul fronte informatico.
Dubbi, rischi e sfida da affrontare
La nascita del world wide web ha sollevato un’ondata di eccessivo ottimismo all’inizio che ha lasciato il posto ora ad interrogativi, dubbi e sfide da affrontare, come sottolinea don Fabio Pasqualetti, decano della Facoltà di Scienze della comunicazione alla Pontificia Università Salesiana, esperto di comunicazione e nuove tecnologie,
R. – Il problema è che noi prima di tutto abbiamo creato una globalizzazione dei mercati, e la tecnologia l’ha altamente favorita, ma non abbiamo ancora una governance mondiale; si è poi sviluppata anche la globalizzazione dei servizi internet e verso gli anni 2000-2002, quando sono iniziati i blog prima e i social network dopo, abbiamo offerto l’autorialità, la possibilità a chiunque di esprimersi su tutto, ma ciò avveniva senza parametri di riferimento e senza troppi criteri di regolamento. Oggi ci troviamo con delle problematiche non indifferenti sulla privacy e sul controllo degli utenti. Certamente lo scandalo della Nca, sullo spionaggio dei cittadini americani e non, ci ha fatto ben capire quanto sia complessa la rete globale e quanti siano gli interessi in gioco da parte delle multinazionali, delle istituzioni, dei governi, degli eserciti. Quindi certamente è un bel groviglio su cui riflettere e pensare; in più stiamo vedendo che questa tecnologia di accesso al sapere e di grande raccolta di informazione tende a delegare un po’ tutte le funzioni che prima avevamo, come ad esempio quella di memorizzazione: oggi si sa – attraverso studi fatti – che tendiamo a memorizzare di meno perché confidiamo e ci affidiamo sempre di più ai dispositivi che ci danno accesso all’informazione. Poi ci sono tante altre problematiche a livello di apprendimento e di socialità, perché la promessa dei social network spesso è quella di fare incontrare gli altri ma i risultati a volte sono che la gente si sente più isolata e più frustrata di prima. Quindi bisognerebbe capire anche qui il perché. Non credo che sia semplicemente dovuto alla tecnologia; ci sono tanti fattori da analizzare a livello culturale, a livello anche sociale, a livello di quella che è l’onda lunga di una cultura anche molto individualista, che credo sia entrata in gioco e che la tecnologia ha poi potenziato attraverso forme di narcisismo.
Prof. Pasqualetti, come è cambiata invece la comunicazione della Chiesa in questi decenni? Mi riferisco sia all’annuncio della Parola che proprio all’essere in rete.
R. – La Chiesa è stata innanzitutto sfidata principalmente a livello di struttura comunicativa. La Chiesa, potremmo facilmente riconoscere, ha sempre avuto una struttura comunicativa top down, cioè dai massimi vertici verso la base. Internet implica invece una modalità di comunicazione totalmente opposta: tutti a tutti, è orizzontale, non ha centro. Per cui la Chiesa ha dovuto accettare la sfida di entrare nella rete dovendo accogliere il fatto che è una delle voci fra tante voci. Credo che questa sia la sfida più grande, nel senso che effettivamente devi aver qualcosa di interessante da dire perché qualcuno venga a visitare i tuoi siti, faccia riferimento ai tuoi contenuti e quindi in un certo senso trovi anche uno spazio di confronto. Tuttavia non sono ancora molte le istituzioni e i siti ecclesiali che accolgono ancora un confronto diretto; molti accolgono magari dei contributi, ma sempre molto regolati; altri sono dei portali di informazione. Credo che però a lungo andare stia entrando l’idea che la modalità comunicativa – se si accetta di stare in questi ambienti digitali, nei social ad esempio – comporti inevitabilmente l’interazione diretta.
Sicuramente la Chiesa ha saputo, anche profeticamente, richiamare nei suoi documenti magisteriali il ruolo che deve avere la comunicazione internet.
R. – Il principio fondamentale della Chiesa che riguarda tutti i mezzi di comunicazione è che questi dovrebbero aiutarci ad umanizzarci sempre di più; questa è anche la grande sfida. La si può porre in un altro parametro simbolico tratto dal Vangelo: o il sabato è al servizio dell’uomo o l’uomo rischia di esser schiavo del sabato. Oggi, quali sono i nuovi sabati? Potremmo partire dall’economia, dallo sviluppo, dalla tecnologia che se orientate nelle nuove forme al servizio dell’uomo diventano davvero liberanti e si può progredire e crescere come umanità; nel momento in cui invece diventano strumenti di controllo, di potere, di sottomissione degli altri ovviamente schiavizzano. Allora, credo che anche qui la grande sfida è capire oggi in che direzione stiamo andando; capire, ad esempio, tutta la problematica degli algoritmi, del machine learning, di chi li usa, di chi li controlla, di che cosa si sta facendo, proprio per avere una maggiore conoscenza e coscienza di quale direzione stiamo prendendo come società e come umanità.
Le celebrazioni del trentennale
Le celebrazioni del trentennale del World Wide Web sono partite ieri dal Cern di Ginevra con l’evento Web@30, cui presiede Tim Berners-Lee, con la partecipazione di diversi altri esperti e pionieri della rete, che dibatteranno con il pubblico le loro visioni sul modo digitale di oggi e del futuro. Sul sito del Centro di ricerca nucleare è possibile seguire, in diretta streaming per 30 ore, gli incontri pubblici organizzati per l’anniversario in diverse città del mondo.