La sindrome da fatica cronica (in inglese Chronic Fatigue Syndrome, sigla CFS), anche detta encefalomielite mialgica o malattia da intolleranza sistemica allo sforzo (Systemic exertion intolerance disease – SEID) comunemente indicata come CFS/ME, è una malattia multifattoriale idiopatica che viene descritta da un rapporto dell’Institute of Medicine (IOM) pubblicato nel febbraio 2015 come una «malattia sistemica, complessa, cronica e grave», caratterizzata da una profonda stanchezza, disfunzioni cognitive, alterazioni del sonno, manifestazioni autonomiche, dolore e altri sintomi, che sono peggiorati da uno sforzo di qualsiasi tipo.
I sintomi sono ricondotti essenzialmente a severa fatica, disturbi del sonno e peggioramento dei sintomi a seguito di sforzi, a cui possono aggiungersi problemi cognitivi e di concentrazione, dolore e stordimento.
Essa colpisce in prevalenza le donne e può colpire anche bambini e adolescenti.
Come il già citato rapporto dello IOM, anche una ricerca europea ha dimostrato che i pazienti di CFS/ME patiscono una peggiore qualità della vita rispetto ai malati di molte gravi patologie più conosciute. Questo può spiegare perché, sebbene il tasso di mortalità naturale nella CFS non sia superiore rispetto a quello della popolazione sana, la malattia comporti un aumento di 7 volte nel rischio di suicidi.
Per quanto riguarda la cura non vi è una vera e propria terapia
Un approccio terapeutico che ha mostrato risultati apprezzabili è quello che riguarda la cura della permeabilità intestinale e della disbiosi.
Comunemente vengono molto usati farmaci anti-sintomatici per contrastare rispettivamente i sintomi più invalidanti, come gli antidolorifici, gli antidepressivi e gli antinfiammatori contro i dolori, e gli stimolanti contro la difficoltà di concentrazione e l’astenia.