Carissimi, bisogna che in questo momento ci adoperiamo a misurare le parole che intasano la pubblica comunicazione. È l’ora della sobrietà.
Se ci sforzassimo di compiere il nostro dovere, magari in silenzio, forse contribuiremmo a rendere più nitida la percezione dei gesti compiuti da tanti eroi del quotidiano, privi di megafono.
Il mondo intero vive l’angoscia della pandemia, ogni giorno l’Italia conta più morti: non è tempo, per questo, di polemiche esplicite o mascherate. Anch’io staccherei dunque la spina e non risponderei più al disordinato Salvini: Conte stavolta ha ragione.
Basta, basta, basta!
Che senso ha questo prendere le distanze da ogni provvedimento del governo, senza un briciolo di prudenza e generosità?
Nessuno nega il diritto di presidiare, specie pensando al domani, le ragioni della dialettica tra maggioranza e opposizione. In fondo la democrazia – lo sappiamo o lo dovremmo sapere – si presenta anzitutto come il sistema che riconosce e garantisce il dissenso, prima ancora del consenso.
Mi permetto allora un’osservazione. La Chiesa ricorda che ad ogni circostanza si applica una regola: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. Oggi abbiamo di fronte le “cose necessarie”, quindi abbiamo bisogno di unità. E direi anche di amore.
Da qualche giorno, tra noi confratelli, ci confrontiamo sull’urgenza di un pensiero che rimetta al centro il problema della “permissione del male”, ovvero della giustizia di Dio. I teologi, come è noto, assegnano a tale cogitazione il termine tecnico di teodicea.
Ecco, ho ripreso in mano un libro del mio teologo preferito. Mi riferisco a una delle ultime fatiche di Johann Baptist Metz, recentemente scomparso, la cui attenzione al mistero del male scuote alla radice la nostra fede.
Ecco il richiamo della sua prosa essenziale: “Il cristianesimo, come «religione col viso rivolto al mondo», non può tralasciare facilmente la questione della minaccia che le tenebre della storia umana di sofferenza rappresentano per la sua speranza: proprio oggi tali tenebre pongono il cristianesimo dinanzi alla questione di Dio come questione della teodicea, con una drammaticità sinora sconosciuta”.
La fede ci conforta. È nostro compito mantenere viva la speranza non rinunciando pertanto a combattere, dice ancora il mio teologo, quella sorta di “amnesia culturale in cui svanisce la storia in quanto storia di passione”.
Non ci sono alternative a disposizione dei cristiani. In realtà sono loro a dover testimoniare, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, la superiore potenza del bene. Nonostante i lutti e le sofferenze, proviamo fiduciosi ad alzare la bandiera della speranza.