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mercoledì, 17 Dicembre, 2025
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In ricordo di Giulio De Rossi, prete romano, collaboratore di Sturzo

Pubblichiamo il testo della commemorazione tenuta ieri mattina a Roma dal Sen. Maurizio Eufemi dopo la messa presieduta da mons. Francesco Pesce nella chiesa di San Gregorio Nazianzeno.

Una commemorazione doverosa

Abbiamo voluto commemorare, qui nella chiesa di San Gregorio Nazianzeno in Vicolo Valdina, per iniziativa del Presidente dell’Associazione Democratici Cristiani (ANDC) Lucio D’Ubaldo, oltre i 66 ex parlamentari che ci hanno lasciato quest’anno, anche don Giulio Cesare De Rossi, di cui il 22 novembre ricorre il centenario della morte. Bene ha fatto don Francesco a definirlo “costruttore di futuro”.

Gli anni della formazione

Giulio De Rossi era già laureato in matematica e fisica, e avviato a una brillante carriera universitaria quando ebbe l’ordinazione sacerdotale per concessione speciale di Pio X. Tornò a insegnare al Sant’Apollinare dal 1905 al 1911, dove si era formato.

Entrò poi in contatto con i circoli culturali cattolici, tra cui il Leonardo e il Dante.

Don Giulio De Rossi scrisse – come ci ha ricordato Gabriele De Rosa – anche di “letteratura minore”, che però aveva diffusione tra i cattolici del Nord come del Sud: una letteratura meno ambiziosa, ma più pratica e politicizzata, che mirava a offrire alla gente semplice, ai parrocchiani e ai devoti, testi letterari e sociali che funzionassero da “contravveleno alle immagini, alle idee e ai miti della società individualistica-borghese”.

Il lavoro nella stampa cattolica

Dal 23 aprile 1916 fu direttore della Settimana sociale, organo dell’Azione cattolica. Dalle colonne del periodico richiamò spesso i cattolici all’“unione” e al “dovere” di fronte al Paese in guerra.

Fu redattore del Corriere d’Italia, il più importante quotidiano del trust Grosoli. Maturò un forte impegno nella stampa cattolica fino a dirigere giornali e a divenire, proprio per le sue capacità, direttore dell’ufficio stampa del PPI, chiamato da Luigi Sturzo. Il suo era un pensiero vivace, non accomodante.

I due sacerdoti si muovevano all’unisono nella costruzione del Partito Popolare. Entrambi, per ragioni diverse, ebbero problemi con le gerarchie ecclesiastiche. Luigi Sturzo andrà in esilio-salvezza, prima a Londra poi negli Stati Uniti; don Giulio, per le sue posizioni audaci e di avanguardia sociale, ebbe prima richiami, poi divieti, quindi un piccolo esilio nella parrocchia di San Saba, allora un rione popolare – non quello odierno, ambito e sofisticato – ma un ambiente fortemente anticlericale che ne stimolò l’azione apostolica.

Prima della guerra mondiale aveva diretto Il prete al campo, di sussidio pastorale per i cappellani militari.

Alle origini del Partito Popolare

Ricordando don Giulio De Rossi ci immergiamo profondamente in quella storia del Partito Popolare.

Don Giulio partecipa nelle sere del 23 e 24 novembre del 1918 nella sede dell’Unione Romana con quei pochi amici che gettano le basi del nuovo partito e che poi parteciperanno alla piccola Costituente.

De Rossi come direttore dell’ufficio stampa del Partito Popolare ebbe l’incarico di tracciare la complessa e varia attività svolta dal partito nel primo anno di vita. Lo fa con un un libro più documentario che narrativo dove prevale la “sostanza delle cose più che la fosforescenza della forma” con l’obiettivo di farne apprezzare la decisa ferma volontà del partito popolare nella ricostruzione economica, politica, sociale e morale della Patria.

Il nuovo partito nasceva dopo l’appello di Sturzo ai “liberi e forti”.

Assumeva il nome di Partito Popolare dimostrando, come scriveva De Rossi, la “propria volontà di rivolgersi a tutte indistintamente le classi, perché di tutte aveva bisogno per disporle armonicamente nel nuovo ed auspicato Stato organico”, aggiungendo che “le preoccupazioni sociali, le rivendicazioni degli umili, lo sforzo verso la elevazione intellettuale, morale e politica del proletariato, costituivano però un’altra base programmatica: i popolari sentivano di dovere agire più efficacemente proprio in quelle masse che più sembravano lontane dalla auspicata maturazione politica”.

Giornalista, stratega, organizzatore

De Rossi non è solo direttore dell’ufficio stampa, ma concorre con la sua straordinaria capacità giornalistica all’elaborazione e al sostegno delle maggiori battaglie politiche, di cui la prima battaglia fu la proporzionale.

Don Giulio ne è l’orchestratore e interviene sulla “rappresentanza proporzionale non ammette surrogati”, come pure insiste sul “partito delle libertà cristiane”.

Al congresso di Napoli si fa promotore di un ordine del giorno per l’adozione immediata dell’esame di Stato come presupposto per equiparare scuole di Stato e scuole libere.

Sturzo vuole affiancare Donati al Popolo con De Rossi come consigliere delegato. La convivenza però è difficile: i caratteri sono diversi, Donati impulsivo, De Rossi riflessivo. Si arrivò alle dimissioni.

Don Giulio De Rossi monitorava la situazione della stampa cattolica: 20 quotidiani aderirono al PPI, ma anche periodici, riviste e bollettini sparsi in ogni angolo del Paese, spesso con posizioni pluraliste e non sempre allineate.

Da “Il Popolo Nuovo” a “Il Popolo”

L’8 giugno 1919 nasceva, diretto da Giulio De Rossi, Il Popolo Nuovo, che fu per cinque anni il settimanale ufficiale del PPI.

Poi nel 1923 verrà la crisi della stampa popolare con abbandoni e defezioni, poiché molti quotidiani ottennero contributi dal Ministero dell’Interno.

Altri rimasero fedeli a Sturzo, che nel 1923 diede vita a Il Popolo, uscito il 23 aprile su un progetto di Donati e Fuschini e con i mezzi finanziari assicurati dal comm. Morpurgo, presidente delle Assicurazioni Generali di Venezia. Era importante avere la tipografia per garantire l’integrazione tra redazione e stampa. Furono acquisiti i macchinari dismessi dal Mattino di Napoli.

Per le battaglie democratiche e di libertà seguirono sequestri, blocchi delle pubblicazioni per 47 volte, esili, fino alla cessazione definitiva.

Dopo le dimissioni di Sturzo

Quando Sturzo si dimise da segretario, per impedire che l’offensiva contro la Chiesa andasse più oltre, e fondò la Società editrice libraria italiana, costituì un circolo culturale che serviva da copertura ad attività politica. Fu assistito da Giulio De Rossi, Vincenzo Mangano, Giampietro Dore e Mario Scelba.

Noi oggi ci troviamo in quel perimetro di storia del PPI: tra collegio Sant’Apollinare, via di Ripetta 102, via della Scrofa 70, piazza Capranica 102, dove aveva sede l’editore Ferrari.

De Rossi non è solo cronista, ma commentatore, storico e politico degli avvenimenti.

La memoria e l’eredità di De Rossi

Scomparve prematuramente nel 1925. In tale occasione, da Londra, Sturzo scrisse a Spataro:

«Ti puoi immaginare quale schianto è stata la notizia della morte del buono e caro don Giulio. È una perdita assai grande».

In quella stessa lettera — ricompresa nell’epistolario Sturzo–Spataro curato da Gabriella Fanello Marcucci — apprendeva anche della scomparsa de Il Popolo ed esprimeva «un profondo dolore».

Questo accadeva nel 1925!