La questione non è un affare per sole donne. Un certo Alì ne è una valida testimonianza. Le cose si muovono a volte seguendo un filo di tragica fatalità. Era scritto nel libro della storia che quell’uomo fosse una testa calda. Uno di quelli da tener d’occhio perché non si sa mai… Non invasato, ma certamente un presuntuoso, convinto di essere qualcuno e, peggio ancora, di essere sprezzante verso il potere. Sarà stato perché l’hanno chiamato Alì. Un nome teoforico, portatore di deità. Per questo si sarà gasato, aumentando già il trambusto causato dalla inziale contraddizione del suo nome. Per alcuni suona come Illuminato, per altri un Sublime e per altri ancora addirittura un Onnipotente. Comunque la si metta, uno che insomma che crede di essere chissà chi.
Qualche motivo di merito lo ha avuto, anche se poi, da uomo di calcio, è diventato il tallone d’Achille del regime in Iran. Per i governanti ha tirato alle parti basse, slealmente, proprio lui il suo eroe! Ora è un allenatore e potrebbe mantenere in forma gli oppositori in modo che possano durare più a lungo nella protesta. Alì Daei è stato il più grande calciatore del suo paese. Nel 1997 con due assist fondamentali, durante la decisiva partita di calcio contro l’Australia, ha consentito all’Iran di qualificarsi per i mondiali. Per colpa sua la gente, impazzita di gioia, è scesa per strada a festeggiare e, con essa, le donne, addirittura dimenticando il velo in un cassetto.
Dopo qualche mese il fatto si è ripetuto. Nel corso del Mondiale del 1998, con un altro conclusivo passaggio di Alì, l’Iran batte il nemico giurato, gli Stati Uniti. Nuovo tripudio di donne in mezzo alla strada sempre a volto scoperto. Per una volta i guardiani della morale hanno fatto finta di nulla ma l’allarme è scattato. Alì è un attaccante, uno che sa andare al punto con poche esitazioni. È anche un assist man. Chi assiste è capace di aiutare o anche di restare impassibile, indifferente agli eventi. Non è il caso di Alì che esprime il suo sdegno per la morte di Mahsa Amini e altre ragazze e ragazzi torturati e uccisi dal regime. Così facendo ha dato un calcio al suo facile destino di star e forse firmato in calce una sua possibile condanna.
Il potere teme che il calcio di Alì faccia presa incrostandosi nel cuore della gioventù, incoraggiandoli alla rivolta. Dal calcare, alla calca di fermenti rivoluzionari, il passo è breve.
Di conseguenza, un anno fa le autorità iraniane hanno ordinato ad un volo di Mahan Air da Theran a Dubai di invertire la rotta e atterrare sull’isola di Kish. A bordo ci sono la moglie ed il figlio di Alì. Siamo malpensanti. È stato un gesto di gentilezza. Perché mirare verso Dubai, pur con tutti i documenti in regola, quando il proprio paese può vantare la bellezza dell’isola di Kish? Non è forse quello il luogo ambito dove passano le vacanze i ricchi del paese, i bazaari, i figli del nord di Teheran, dove sono tollerati canti e balli, e dove è zona franca del commercio? Barriere coralline e libertà sono il pregio di quel posto, esentato anche dalle regole di condotta del governo.
Hanno fatto scendere madre e figlio dall’aereo. Quello che sta nell’aria è impalpabile e inafferrabile e non va bene. In botanica, si definisce “aereo” l’organo di una pianta che si sviluppa al di sopra del terreno, avverso le parti che si trovano sotto terra. Fusti orgogliosi e rami pavoneggianti contro le radici incollate per arginare la terra che frana, vibra e si crepa per gli acuti strilli dei manifestanti. Risulta che circa un anno fa hanno arrestato Alì e non se ne conosce la sorte. A suo tempo, anche un altro Alì – Mohamed Alì – un grande pugile, ha combattuto contro la politica di allora pagando il prezzo delle sue scelte e vincendo sempre come il migliore di tutti. Questa volta il regime ha commesso un imperdonabile fallo da rigore. Stia attento: Alì non è un tipo che ne sbagli l’esecuzione.