[…] La Civiltà Cattolica non è un oggetto, cioè non coincide con il suo supporto cartaceo o digitale […] è, infatti, una «visione» del mondo, della cultura, della politica, delle tensioni di questa realtà. È dunque una interpretazione, un modo di vedere le cose, che si esprime nella carta stampata e nel web, ma anche in tutta la comunicazione e nelle relazioni che è in grado di generare in termini di dibattiti social, riflessioni giornalistiche, saggi accademici, reazioni emotive, siano esse polemiche o di sostegno. Essa è generata da una comunità di gesuiti e, dunque, da un’esperienza spirituale condivisa.
[…] La Civiltà Cattolica è una rivista viva, così come quando è nata nel 1850. Essa – la più antica di cultura italiana tuttora attiva – è «più giovane a misura del suo invecchiare», come disse san Giovanni XXIII al direttore dell’epoca, p. Roberto Tucci, il 9 febbraio 1963.
Ho iniziato a scrivere sulla rivista nel 1993 – 30 anni fa – con san Giovanni Paolo II; sono stato nominato direttore con Benedetto XVI nel 2011; ho vissuto la mia direzione con Francesco. La Civiltà Cattolica ha attraversato questo tempo come sempre è stato: con fedeltà alla Santa Sede, al Papa, e al mondo di oggi nelle sue istanze più intense e significative. La Chiesa? Oggi «ha bisogno di protestare, chiamare e gridare»[3], ha detto Francesco. La rivista ha protestato, chiamato, gridato. Lo ha fatto con diplomazia, ma anche con parresia. Come sia stato possibile mettere insieme queste due cose è un mistero che solo i lettori possono giudicare nei suoi esiti.
La nostra è una rivista giornalistica e non accademica. È di «opinione», e dunque opinabile. La cosa peggiore che possa capitare a una testata di questo genere è quella di non generare discussione, di lasciare indifferenti. Oggi mi sento grato a tutti voi: sia a coloro che sono stati d’accordo col pensiero espresso nelle nostre pagine sia a coloro che lo hanno criticato in maniera seria e intelligente, allargando così il cerchio concentrico della riflessione sui nostri argomenti.
Certamente ho cercato di essere fedele a quel che avevo promesso ai lettori nel mio primo editoriale del 1° ottobre 2011: «Per quanto sarà possibile, non vorremmo semplicemente commentare riflessioni già formulate, ma anche tentare di anticipare le tendenze e prevederne l’impatto, mirando a tener desta l’attenzione dei lettori»[4]. E abbiamo cercato, come ci è stato possibile, non tanto di prevedere il futuro partendo dall’oggi, ma di vedere l’oggi partendo dal futuro possibile con un pensiero aperto, con inquietudine e con immaginazione, così come ci ha chiesto Francesco.
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[Tratto dal sito web de La Civiltà Cattolica]